LI CHIAMARONO BRIGANTI

Dopo la spedizione dei mille e l’unità d’Italia, il meridione è sconvolto da una guerra civile che vede il regio esercito italiano e la guardia nazionale impiegati contro bande di briganti, composte perlopiù da braccianti disperati ed ex militari del regno borbonico. Tra i rivoltosi si distingue Carmine Crocco, un popolano originario di Rionero in Vulture. Tornato al proprio paese, questi scopre che il potere ha sempre la stessa faccia: con il nuovo re Savoia, la situazione economica e sociale non è affatto cambiata e la classe dominante, in passato fedele al re Borbone, continua a mantenere i propri privilegi ed ha le mani libere per speculare ed opprimere la gente. Crocco, già ricercato per aver ucciso un uomo che aveva umiliato sua sorella, ha combattuto con Garibaldi, sperando di ottenere l’amnistia e l’arruolamento nella guardia nazionale come promesso dal nuovo governo. Ma la parola non viene mantenuta e Crocco viene arrestato ma con l’aiuto della Chiesa e di notabili legati al vecchio regime viene subito liberato.
Crocco è amareggiato per la promessa mancata del nuovo governo e gli esponenti legittimisti, vedendo in lui una grande dote di leader, lo convincono a diventare il capo della reazione antiunitaria. Sposando la causa dei Borbone, Crocco comanda una masnada composta prevalentemente da persone disagiate con l’ausilio dei suoi luogotenenti Ninco Nanco, Caruso e la consorte Filomena, conquistando e saccheggiando la zona del Vulture in nome del re Francesco II.
Intanto, il governo italiano incarica il generale Enrico Cialdini di eliminare il brigantaggio. Cialdini si distingue con metodi spietati: ordina sequestri di beni di prima necessità per le popolazioni, la fucilazione immediata di chiunque sia in possesso di armi non denunciate e impone stermini di massa ove non vengono risparmiati neanche i civili poiché accusati di complicità con i briganti. I suoi metodi estremi vengono contestati dal caporale dei carabinieri Nerza, benché costretto ad obbedire agli ordini superiori, ma ciò non distoglie Cialdini dal suo obiettivo. Cialdini verrà tuttavia sollevato dall’incarico per l’eccessiva brutalità e verrà sostituito dal suo pari grado Emilio Pallavicini.
Crocco riceve il generale spagnolo José Borjes, mandato dal generale borbonico Tommaso Clary per conto di Francesco II, con l’obiettivo di trasformare le sue bande in un vero e proprio esercito. Tra i due però i rapporti sono precari e, nonostante alcuni successi in battaglia, il sodalizio durerà poco, poiché Crocco si sente sfruttato e strumentalizzato dal governo borbonico in esilio, decidendo così di interrompere la collaborazione con il generale e tornare nei boschi.
Intanto Caruso sparisce all’insaputa di tutti, costituendosi presso le autorità e sperando in un provvedimento di clemenza. Essendo a conoscenza dei nascondigli e delle tattiche dei briganti, Caruso rappresenta un componente essenziale per sconfiggere le bande e viene affidato al caporale Nerza per condurre i soldati italiani nei loro rifugi. Il tradimento di Caruso, nonché il voltafaccia dei notabili filoborbonici e della Chiesa che avevano incoraggiato e finanziato il brigantaggio, segnano la fine delle bande e Crocco, davanti ad una sconfitta inevitabile, è costretto a fuggire.
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