L’Archivio Borbone, acquistato nel 1951 dallo Stato italiano e destinato all’archivio di Stato di Napoli, completa e integra l’archivio di Casa Reale. 
Nel 1937 cominciò a divulgarsi la notizia dell’esistenza di un archivio, non di carattere prevalentemente personale, che aveva seguito Francesco II nell’esilio e di cui era depositario il rappresentante della casa dei Borbone, don Ferdinando, duca di Calabria. Iniziarono così le trattative tra l’erede e il soprintendente Filangieri per il recupero della documentazione. Lo scoppio del conflitto bellico tuttavia arrestò le trattative e solo nel 1950 il Filangieri si poté recare in Germania a Lindau per conoscere la consistenza dell’archivio che era collocato nel castello di Hohenschwangau. Da un primo esame della documentazione il Filangieri poté ricostruire la storia del fondo. Si apprese così che Francesco II, allontanandosi da Napoli per riparare a Gaeta, aveva dato ordine di scegliere dagli archivi di Casa Reale gruppi di carte che lui considerava più utili e importanti e di inviarle al palazzo Farnese di Roma. A queste si aggiunsero nel 1861, dopo la presa di Gaeta tutte le carte che si erano formate e prodotte in quel periodo e poi quelle dalla corte del re nella dimora del palazzo Farnese. Sopraggiunta la caduta di Roma, Francesco II che aveva acquistato una casa a Monaco di Baviera, vi fece trasportare l’archivio. Morto Francesco nel 1895, gli era successo, nella rappresentanza della dinastia il fratello terzogenito Alfonso, conte di Caserta, che, sposatosi con la principessa Antonietta di Borbone, ebbe come primogenito Ferdinando, duca di Calabria. Fu proprio questi che scoppiata la guerra ritenne opportuno trasferire l’archivio nel castello di Hohenschwangau, di proprietà del principe Ruprecht di Baviera. Una quantità di materiale documentario pari a quasi due terzi dell’archivio era riuscito a raggiungere la nuova destinazione, ma l’ultimo autocarro fu inspiegabilmente bloccato dalle autorità tedesche che ne impedirono la partenza. Qualche giorno dopo la casa di Francesco II fu bombardata e distrutta e con essa tutta quella parte della documentazione ivi rimasta. Le carte distrutte riguardavano tutta la corrispondenza che i sovrani borbonici avevano tenuto con i loro ambasciatori e che dovevano formare un gruppo di 599 fasci di carteggi, di cui risultavano solo 130. Il Filangieri nell’esaminare la documentazione apprese che nel 1864 furono consegnate carte a un tal Manera, agente della Regia Casa, e che questi nel 1872 le aveva date al conte di Laurito perché fossero inviate a Vienna. Le cassette dovevano contenere carte farnesiane. Poiché però egli rinvenne in archivio 11 cassette indirizzate all’arciduca Alberto a Vienna, contenenti inventari e carteggi farnesiani, si ebbe la prova che le cassette erano poi ritornate in archivio, cioè non erano mai state spedite. Altre carte farnesiane, che il conte di Caserta aveva consegnato all’avvocato Emidio Germani, riguardanti un’antica lite tra la casa Farnese e la famiglia Pallavicino, con numerose pergamene si trovavano presso il duca di Calabria e furono rimesse in archivio. La relazione del Filangieri, redatta per definire l’acquisto dell’archivio, diede al Ministero dell’interno e all’Ufficio Centrale degli Archivi di Stato gli elementi conclusivi per l’accettazione della proposta di recupero. Così il 4 luglio 1951 si comunicò alla Prefettura di Napoli l’acquisto dell’archivio della casa Borbone delle Due Sicilie, destinandolo all’Archivio di Stato di Napoli. L’11 novembre 1951 venne rogato presso la Prefettura di Napoli l’atto ufficiale. Tuttavia prima dell’effettivo rientro in Italia dell’archivio, avvenuto il 30 maggio 1953, dovevano passare altri due anni. 
Il Filangieri si pose al lavoro di riordino tenendo conto della ripartizione delle carte in base ai sovrani quale l’archivio presentava prima del disordine prodotto a Monaco. Intraprese così un lavoro di ricognizione sistematica del materiale per separare, da quello che era il vero e proprio archivio, gli altri documenti che vi erano stati inseriti. Circoscritta così la documentazione alla sua effettiva consistenza, il principio ispiratore del riordinamento fu quello del rispetto dei criteri archivistici coevi alla documentazione tenendo conto della ricostruzione delle vicende storiche. I criteri di ordinamento erano stabiliti in effetti dalla Segreteria particolare del re stabiliti sulla base del progetto Caprioli del 1832 che prevedeva la ripartizione e l’organizzazione dell’archivio in ordine cronologico per anni di regno, e la successiva divisione delle serie in sezioni, volumi e fascicoli. 
L’archivio Borbone, mentre costituiva un fondo privato della famiglia, andava d’altra parte ad integrare le scritture già esistenti, compensando in parte le lacune dovute alle dispersioni. Nel suo complesso, l’archivio ripercorre le vicende storiche del Regno di Napoli, poi delle Due Sicilie, dal 1734 fino alla caduta della dinastia. Ad eccezione di piccoli nuclei documentari, l’archivio si presenta oggi in buono stato di conservazione, con le originarie legature in volume, la divisione per sovrani e per materia, la successione cronologica e numerica dei fascicoli e delle pratiche. 
Il riordinamento iniziò nel 1953. L’archivio fu ripartito in 7 sezioni rispondenti alle classificazioni dei precedenti archivi di Casa Reale: 
1) Registri di corrispondenza del ministro Bernardo Tanucci, fasci nn. 1-31 
2) Carte della regina Maria Carolina, fasci nn. 32-110 
3) Carte del re Ferdinando IV, fasci nn. 111-354 
4) Carte del re Francesco I, fasci nn. 355-750 
5) Carte del re Ferdinando II, fasci nn. 751-1131 
6) Carte del re Francesco II, fasci nn. 1132-1200 
7) Carte del re Francesco II, da Gaeta all’esilio, fasci nn. 1201-1863. 
A conclusione dei lavori di riordinamento, l’archivio Borbone fu aperto al pubblico fino alle carte del re Francesco I, nel maggio 1955; nel 1958 la consultazione fu estesa fino alle carte di Ferdinando II e infine nel 1960, in coincidenza con il centenario dell’unità d’Italia, fu aperta al pubblico anche la serie delle scritture di Francesco. 
L’archivio Borbone è composto non solo di documenti ma anche da un notevole numero di opere manoscritte, libri, opuscoli a stampa, giornali, manifesti per un ammontare complessivo di 777 unità, alcune delle quali miscellanee e costituite da oltre cento elementi ciascuna. L’inventario è il frutto di un accurato spoglio di ogni singolo fascio.

ARCHIVIO BORBONE

8 Ottobre 1815  – Domenica

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 481:

ALCALÀ FRANCESCO al Maresciallo (Nunziante) (8 Ottobre 1815)

«Pizzo 8 Ottobre 1815

«Ven.mo Sig. Maresciallo

«Mi affretto a darvi parte col p.te Espresso, che poco prima, che potea essere le ore 16 d’Italia, due picciole barche [… ecc.].

«Ma venuto ciò in mia cognizione, mi armai all’istante, e con gente di mia fiducia corsi subito in Piazza. Murat coi suoi avea preso il cammino a piedi per Monteleone. Io mandai la mia gente, la quale gli tagliò il cammino, per cui egli gittossi nella vicina campagna nomata Perrera. Io colla mia gente gli diedi dietro a colpi di scopettate. Egli fuggendo corse al lido, cercando imbarcarsi sopra una barchetta di pesca di qui. Ma io lo raggiunsi in tal atto, lo feci arrestare come feci arrestare anche il seguito, e tutti li ho fatti condurre in questo Castello, dove è guardato  dal Capitano D. Gregorio  Trentacapilli, che qui si trova, e dalla mia gente, e da questa popolazione, la quale esulta per  d’ prigionia>>

«Compiacetevi gradire i miei passi, e disponete Voi il convenevole per la Persona di si famoso Prigioniero e di quelle del suo seguito.

«Sono agli ordini suoi [… ecc]

P.S. Vi prego rappresentare a Sua Maestà quanto da me si é operato in questa circostanza secondato dal zelo di questa Popolaz.ne [… ecc.].»

(Si tratta dell’originale autografo. Francesco Alcalà era l’Intendente del Duca dell’Infantado, ed amministrava i beni che questi aveva in Calabria.

Nei confronti di Murai fu correttissimo, e, sebbene avesse contribuito note­volmente a farlo arrestare, lo rifornì di vestiario.

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 438:

ALCALÀ FRANCESCO al Ministro De Medici (2 Novembre 1815)

[Omissis]

«Prego V. Ecc.za permettermi di esporle, come in questa fedelissima città si é sparsa la voce che il Sig. Capitano di gendarmeria Trentacapilli pretende attribuire a se solo il merito dell’arresto di Murat e suoi seguaci.

[Omissis]

«Egli non ebbe la sorte di trovarsi nel momento dell’arresto di Murat, e c’incontrò alle prime case della marina, circa un quarto d’ora dopo terminato il fatto.

[Omissis]

«Le carte ed i brillanti trovati addosso a Murat, furono depositati nelle mani  dell’espresso Sig. Trentacapilli, in considerazione della sua graduazione militare […] «Pizzo li 2 Novembre 1815»

(Testo originale autografo.

Luigi De Medici — o, com’egli scrive — de’ Medici — era Ministro delle finanze e dell’Alta Polizia.

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 502:

BARBA ANTONIO, Costituto preso dal Gen. Nunziante (9 Ottobre 1815)

«A di nove ottobre mille ottocento e quindici. [Omissis]

«D. Come vi trovate in questo Castello?

«R. Stando nel [parola illegibile] di questa Dogana, jeri mattina alle ore sedici e mezza circa per intesi, che giungeva in questa marina una barca Mercantile in contrabando scortata da una Scorridora, per cui immantinente mi rivolsi ai due impiegati di essa Dogana, Commesso al Deposito Sig. Vincenzo Bullona, e liquida­tore Sig. Raffaele Maceri.

[Omissis]

«Viddimo, ed osservammo che le due suddette barche cercavano tirare a terra poco discosto dalla multitudine delle altre barche, e mi sorprese come al momento, che si erano avvicinate al lido i Passeggeri disbarcarono senza che avessero dato tempo, che i deputati di Sanità adempissero alle leggi […].

« [Foglio 502 retro] A pochi passi distante dalle Barche della Rada intesi una voce Viva Gioaccbino, Viva Gioacchino.

«[Omissis] Ma tutto un tempo la gente disbarcata con passo veloce mi fu innanzi replicando sempre le voci Viva Gioacchino Murat, e nell’istesso tempo l’ex-Generale Murat dirigendosi a me mi disse: *Non riconoscete il vostro Re Gioac­cbino, ma io perché nella massima sorpresa, non ebbi lena a rispondergli nulla; e lo stesso e gli altri Uffiziali, che li erano d’intorno vedendo la mia sorpresa m’inco­minciarono a dire Sig. Comandante (perché tenevo il Cappello alla militare) non abbiate timore, venite con noi, uno di essi, che non conobbi mi prese per la mano, e dopo picciol tratto di via mi lasciò la mano; io cercavo di sfuggire, rimanendo indietro, se ne accorse, e mi dissero, che cosa é Sig. Comandante, ci volete lasciare, e quindi uno di essi mi prese per sotto il braccio, ed essendo prossimi alla Piazza del Paese, li dissi ma cosa volete da me? Mi risposero, abbiamo bisogno dei cavalli per salire in Monteleone; soggiunsi allora, e bene quando volete, che io vi trovi i cavalli, non posso seguirvi; allora il Militare che mi teneva per il braccio mi disse Avete ragione e mi lasciò nella strada maestra sopra la casa del sindaco del Comune.

«[Omissis: Dice di aver partecipato alla cattura di prigionieri] e li consegnai al Custode, avendomi esso fatto ricevo come dal certificato che ritengo presso di me; la sera nel mentre che mi licenziavo dal Sig. Comand. della Gendarmeria di Cosenza, Sig. Cap.no Don Gregorio Trentacapilli per sortirmene dal Castello, ed andarmene a casa, lo stesso non volle che sortissi, dicendomi, che alcuni fra il Popolo, che avevano mal appreso l’avermi veduto accompagnato col Murat, minacciavano di tentare ai miei giorni, per cui la notte scorsa sono rimasto in questo Forte, e nel mentre che io questa mattina volevo sortire dal Forte in compagnia del Sig. Ten.te Colon.o Mar­siglia, l’Uffiziale di Guardia alla Porta del Forte suddetto, mi ha ordinato di non sortire, perché ero stato consegnato.

Antonio Barba

Contr.e di Brigata Nunziante»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, f. 170:

BOTTAZZI PASQUALE, a S.M. Re il Ferdinando:

«S. R. M.

«Non poche premure mi sono state fatte, e da varie persone anche con pro­messe di essermi grate perché avessi loro somministrato uno scritto, il quale conte­nesse tutt’i particolari su’ colloquii tenuti nel Forte del Pizzo tra me, ed il Generale Murat nella giornata de’ 13 ottobre 1815, in cui trovandomi di R. ordine all’imme­diazione del Signor Generale Nunziante, mi venne da questo ordinato di annunzìare a Murat che doveva esser giudicato da una Commissione Militare, e di rimanergli a fianco con doverne rispondere vita per vita, fino a che la Commissione avesse pronunziato sul di lui conto.

«Tali premure mi si diceva non essere ad altro scopo dirette se non a quello di non render monco l’istorico sull’arresto, e condanna di quel Generale, poiché [f. 170 retro] Scrittori accinti a compilarlo mancavano di quelli ultimi dettagli.

Quantunque io avessi tenuto bello, e fatto un manoscritto che curai dì redigere in quella circostanza per mia particolare memoria, pure mi son sempre negato di dar fuori una carta di tal natura senza la permissione del Governo; ed ho dato sempre per risposta che nulla aveva ritenuto a memoria sui particolari di quella giornata, poiché ad altro non era intento che ai miei doveri, ed alla responsabilità addossatami.

*Fui tentato però nella trista epoca della sedicente Costituzione di pubblicare colle stampe quel manoscritto non ad altro fine che per ismentire i detti mordaci di alcuni faziosi partigiani, i quali voleano dare ad intendere essere stato Murat, seviziato in quell’ultima giornata prima di essere giustiziato, ed, essergli stata negata l’assistenza di un sacerdote. Dopo mature riflessioni però mi astenni anche dal ciò fare.

«D Manoscritto giammai é stato letto da alcuno, né lo sarà. Se la storia di quello avvenimento esigesse però che vi sia inserito non lo sarà mai per opera mia, e mi fo soltanto un dovere di umiliarne copia alla M.V. (che Dio sempre feliciti) scritta da uno dei miei figli in mia presenza perché si degni farne quell’uso che meglio crederà.

V.umiliss.mo e fedeliss.mo suddito Pasquale Bottazzi [corsivi originali]».

(Questa lettera del Bottazzi é priva di data: Ma l’espresso riferimento alla «trista epoca della sedicente costituzione» (che dev’essere quella concessa il 6 Luglio 1820) lascerebbe intendere che sia stata scritta dopo la restaurazione avvenuta alla fine del Marzo dell’anno successivo.

È questo un profondo mistero, giacché é assolutamente inverosimile che il manoscritto ad essa alligato — datato si noti bene, 14 Ottobre 1815 — sia stato, se autentico, inoltrato con questo enorme ritardo. Ed è anzi sintomatico, al riguardo, che nella lettera si dica ch’esso sarebbe stato scritto «da uno dei miei figli in mia presenza» (espressione anche questa assai strana: perché non sotto dettatura?)

Il Bottazzi (v., per i pochi dati biografici che se ne conoscono, la stessa intesta­zione del manoscritto, nonché quello che in esso si dice) era infatti il capo dei quattro ufficiali destinati da Nunziante alla custodia di Murat nel suo ultimo giorno di vita, ed il Cenno storico — sempre se autentico — dovette essere probabilmente compi­lato proprio su direttive del Governo, e non soltanto per il suo pur comprensibile desiderio di conoscere il comportamento di Murat durante tutta la giornata del 13.

Sempre se autentico, il manoscritto, consegnato dunque a Nunziante subito dopo la sua stesura, dovette essere da lui spedito immediatamente al Governo che lo aveva richiesto.

Sospetto pertanto che la pretesa lettera di accompagnamento sia stata redatta con grande ritardo, per dare ad intendere che il manoscritto sia stato conosciuto dal Re soltanto dopo il Marzo 1821 (v., per un’ipotesi che possa spiegare questo mistero il Cap. IH della Parte II, p. 134).

Sarà, naturalmente, compito della filologia, della linguistica e della diplomatica, stabilire l’autenticità o meno dei due documenti, nonché l’epoca della loro compi­lazione).

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, f. 171BOTTAZZI PASQUALE:

CENNO STORICO SULL’ULTIMO GIORNO DI VITA DEL GENERALE MURAT ARRESTATO AL PIZZO LA MATTINA DEL DI 8 OTTOBRE 1815, E CONDANNATO A MORTE DALLA COMMISSIONE MILITARE QUAL NE­MICO PUBBLICO, FEDELMENTE COMPILATO DA ME PASQUALE BOT­TAZZI, SOTTOTENENTE COLLE FUNZIONI DI UFFIZIALE DI STATO MAGGIORE DESTINATO DI R. ORDINE PRESSO IL GENERALE NUN­ZIANTE COMANDANTE GENERALE NELLE CALABRIE.

«Il dopo pranzo del di 8 ottobre 1815 io sortiva dal mio alloggio in Tropea coll’idea di fare una passeggiata quando uscito fuori la Porta detta di Vaticano, ov’era l’abitazione del Sig.r Generale Nunziante Comandante Generale nelle Cala­brie, Commissario Civile, ed incaricato della Polizia alla cui immediazione io di R. Ordine mi trovava destinato, udii che questi di forte tuono gridando dicea «Lesto il cavallo, lesto il cavallo». Ciò mi fece credere che affare di alta importanza n’era l’oggetto; accelerai perciò il passo verso di lui, ed Egli in vedermi a qualche distanza mi chiamò a nome, e m’impose di montare altro cavallo, e seguirlo; Tanto io praticai al momento, ed Egli precedendomi a tutto galoppo ci volgemmo dritto la strada di Parghelia.

«Dopo aver corso circa quattro miglia domandai il mio Generale per dove eravamo diretti, ed Egli risposemi che andavamo al Pizzo a ritrovar Murat ivi poco fa arrestato. Quan- [f. 171 retro] tunque io avessi conosciuto dalla corrispondenza riservata co’ Ministeri tenuta dal mio Generale che Murat era sortito da Ajaccio su piccioli Legni, e con qualche seguito di Armata, tuttavolta credei uno scherzo la risposta datami da quello e gli soggiunsi non essere il momento di scherzare. Ma Egli di tanto seriamente mi assicurò.

«Confesso che allora mi si presentò l’idea de’ pericoli, a’ quali potevamo andare incontro in una circostanza si rimarchevole, dovendo percorrere diciotto miglia di campagna per giungere al Pizzo, e senza veruna scorta. Celai però il mio concepito timore.

«Continuando la nostra marcia egli mi informò dell’evento, e delle disposizioni lasciate in Tropea primacché ne fossimo partiti.

«Giungemmo fortunatamente al Pizzo circa un’ora di notte, e smontammo alla Porta del Castello.

«Una Compagnia del 3° Regg.to Estero giunta colà da Monteleone custodiva il Forte ed i Prigionieri, che al numero di ventinove compreso Murat trovammo ristretti in una stanza chiusa da un cancello di legno. A questo accostatosi il Generale Nunziante parlò per un momento solo col sudetto, ed indi ritiratici in altra stanza contigua, si fece a dare delle disposizioni le più energiche per assicurare vieppiù la custodia dei detenuti.

«Furono spediti più Corrieri alle diverse autorità militari, ordinando movimenti di truppa [f. 172] affine di garantire quel luogo da qualunque attentato, mentre rinchiudeva un pegno che dovea esser conservato alla Pubblica vendetta, perché venuto a rivoluzionare il Regno, ed a suscitare la Guerra Civile; ed era ragionevole che Murat non avrebbe tentato quell’impresa se non avesse creduto sicuro di trovare un partito. Vane lusinghe però! Furono preveduti tutti i casi, e disposte le cose in modo che sarebbe costato caro a chiunque impreso avesse di procurare lo sprigio­namento degli arrestati.

«Si giurò dal mio Generale sino all’ultimo soldato di versare l’ultima goccia di sangue pria di cedere a qualunque Forza, che avesse potuto aggredirci, ed in quella prima notte non escluso il Generale Nunziante, non si fece che vegliare, e percorrere l’interno, e l’esterno del Forte inculcando i propri doveri alla truppa.

«Al far dell’alba per effetto delle precedenti disposizioni giunsero alcuni pezzi di Artiglieria di Montagna, che furono piazzati all’ingresso del Forte, ed in altri punti che si stimò necessario. Poco dopo giunse altra truppa.

«Allora fu che il mio Generale dispose la separazione di Murat dagli Individui del suo seguito, e con un domestico di unità ai due Generali Franceschetti, e Natale fu scortato in altra stanza del Forte medesimo.

Il giorno 9 Murat, i due Generali Nata- [f. 172 retro] le, e Franceschetti, ed alcuni altri Uffiziali furono trattati di pranzo dal Generale Nunziante, ed io fui tra i commensali eziandio.

«Murat poco parlò durante il pranzo, e desinò parcamente. Il tutto fu decentissimo, e per quanto le locali circostanze permisero. Nei primi giorni seguenti Murat, ed i due Generali furono trattati separatamente con molta proprietà nellocale loro assegnato, ed i rimanenti del seguito lo furono egualmente nelle carceri ov’erano rinchiusi.

«Tralascio di dettagliare tutto ciò che fu praticato ne’ giorni seguenti per assicurare sempreppiù la custodia di Murat, e de’ suoi seguaci, non che la nostra; basta dire soltanto che ciascuno di noi vegliò quasi sempre, ed io con alcuni altri miei compagni spezialmente, che per essere destinati alla immediazione del Generale Nunziante, e stazionanti con lui in quel Forte, dovemmo passare i giorni, e le notti ora a tavolino, ed ora al disimpegno di altre delicatissime incombenze».

«Alle ore sei, e mezza d’Italia [ossia mezz’ora dopo la mezzanotte] della notte de’ 12 giunse staffetta da Napoli. Portava essa la decisione che Murat fosse stato giudicato da una Commissione militare qual pubblico nemico, e con lui tutti coloro del suo seguito, che si trovassero sudditi di S.M. Di questi niuno era tale»44.

«Mi trovavo io in quel momento a tavolino col mio Generale redigendo un rapporto, che dovea spedirsi la mattina seguente. Fu tutto all’istante sospeso, ed il Generale si dispose alla nomina de’ Membri della ordinata Commissione. Ciò fatto si spedirono gli ordini onde far venire al Pizzo da Monteleone, e da altri luoghi vicini alcuni degli Uffiziali nominati, giacché altri erano colà presenti, locché ebbe luogo nella notte stessa»46. <

«Dopo questo [e cioè i provvedimenti adottati da Nunziante] il gene­rale Nunziante mi impose che di unità a D.n Giuseppe Roussel1, altro uffiziale alla immediazione [= alle immediate dipendenze] di lui, allo spuntar del giorno [il 13], e propriamente allorché per ordine di quello i Generali Franceschetti, e Natali sarebbero stati separati da Murat, ci fossimo portati dallo stesso ad annunziargli che una Commissione Militare dovea giudicarlo, e che rimanessimo in sua compagnia fino a che la Commissione avesse pronunziato sul di lui conto, intendendosi a noi consegnato vita per vita, e permettendoci di potere unire a noi due altri uffiziali di nostra fiducia.

«Io e Roussell convenuti sulla scelta degli altri due compagni in persona  degli Uffiziali D. Giuseppe Nini2, e D. Raffaele Lentini’, e attendevano il momento per eseguire gli ordini ricevuti, ed intanto era quistione fra di noi chi dovea istruire Murat del giudizio che dovea subire; ma i miei compagni destinarono me, nuncio, come tra i quattro il più antico uffiziale».

«Circa le ore tredici [ossia verso le 7] chiamati in altra stanza del Forte i due Generali sudetti [e cioè il Franceschetti ed il Natali], noi c’introducem­mo in quelle ov’era detenuto Murat. All’entrare nella prima osservammo che il suo Cameriere [e cioè Armand] era in piedi all’uscio di un camerino ad uso di retré. Io che precedeva i compagni mi feci a dirgli che fosse sortito poiché avevamo ordini riservati da palesare al suo Padrone. Mi rispose che dovea colà rimanere per servire il Re, che era nel camerino. Ed io di rincontro: che fosse incontanente sortito; al che quegli volgendosi indietro disse «Sire, Sire mi voglion far sortire fuori». Affacciò allora Murat dicendoci «Cosa vogliono Signori Uffiziali?» Abbiamo degli ordini a palesarle, Signor Generale, io risposi, ma non in presenza di altri [mancano le »].

«Bene, disse rivolto al cameriere, sortite, sortite». Ciò seguito parlai a Murat «Signor Generale abbiamo ordine di annunziarle che ella va ad esser  giudicato da una Commissione Militare, la quale va a riunirsi in questo punto».

«Era Murat in pantalone di panno bleau, pianelle, berretta di seta nera in testa, e camicia. All’annunzio datogli gittò a terra la berretta che si tolse da testa dicendo «Ah foudre: Commissione Militare! A me Commissione Mili­tare! E chi l’ha, ordinato?» «Chi poteva ordinarlo» risposi «Ah foudre replicò egli: io so cosa vuoi dire Commissione Militare; Mi vogliono assassi­nare; Mi vogliono far morire. Badate a quel che fate… Come intendono trattarmi? Se credono che io sia qui venuto a rivoluzionare il Regno, ciocché non é, ne avrei tutto il dritto, ed in questo caso non sono che un Prigioniere di guerra; se si ha riguardo che il cattivo tempo mi ha fatto qui approdare, e che il mio legno non sdrucito [sic] si debbono attendere le risoluzioni delle Potenze Alleate, le quali mi avevano fornito di passaporto per Trieste».

«Ripresi io allora «Signor Generale, Ella trovasi presso un Governo giusto incapace di commettere assassini, perciò se non ha delitti può bandire ogni tema. Intanto tutto ciò che a noi dice in nulla può giovarle, essendo sola nostra incombenza di annunziarle quanto le abbiamo detto, e rimaner con lei fino a che la Commissione pronunzierà sul di lei conto».

«Murat allora passò nella sua stanza da letto seguito da noi quattro, e vestito un abito bleau si pose a sedere tenendo innanzi a se un tavolino, e poggiando il fronte sulla palma sinistra. Rimase pensieroso per pochi minuti, indi con volto più sereno fece a ciascuno di noi molte interrogazioni, cioè del nostro nome, grado, Patria, da quanto tempo servivamo, e se nel Decembre avevamo dimorato in Francia; ciascuno per la sua parte soddisfece la sua curiosità. Allora Murat esclamò «Ah poveri Uffiziali! poveri Uffiziali! ed ancora subalterni? Nella mia armata in meno di un anno ho promosso più di un uffiziale al grado di Generale. Poveri, e bravi Uffiziali, quanto avetesofferto in Sicilia! E perché bravi, e perché io compassionava il vostro stato per l’attrasso considerevole di soldi, e lontani dalla vostra Patria, vi chiamai più di una volta per avervi nel mio Esercito, per giovarvi…»

«Qui io l’interruppi, giacché discorso di tal fatta sembrommi tendente alla seduzione, e gli dissi «Signor Generale, noi non saremo mai per pentirci di aver seguito il nostro Re in Sicilia; tanto c’impegna il dovere, come bensì di esser sordi ai di lei inviti. E poi se in Sicilia si sperimentò attrasso di soldi fu l’effetto della circostanza; ciò non ostante non eravamo privi di sussistenza». «Turbossi Murat a simile risposta, e dicendo soltanto «Oh!… io vi lodo; avete fatto bene» si pose a meditare come prima; indi si alzò con sollecitu­dine, e noi con lui per sorvegliarlo, giacché temevano di qualche eccesso di furore o che pensasse di precipitarsi dalla finestra ch’era in quella stanza; Egli però si diresse verso un altro tavolino, su del quale era una Mostra [sic] di oro.»

«… la prese [la Mostra], ne distaccò un suggello, vi fissò gli occhi con trasporto di dolore, indi lo baciò e ritornò a sedere, tenendo nelle mani il suggello che baciava, e ribaciava teneramente, unendo ai baci i sospiri.Commosso io allora mi feci a dirgli che si fosse distratto, e che avesse posto da banda quel suggello, che tanto lo affliggeva. Murat allora dette fuori un sospiro, e risposemi

«Lasciarlo!

«E come lasciarlo!

«questa é la mia cara;

«Questa è la mia moglie vedetela (presentandone il suggello, al quale era incastrata una pietra, ed in questa inciso il volto di una Donna). Mia cara Carolina, miei cari Figli» esclamò di nuovo nel riprendersi il suggello, che tornò a baciare».

«Prese quindi a parlare della sua famiglia istruendoci del numero dei Figli, del sesso del nome, e dell’età di ciascuno di essi; indi terminò con dire

«Ah Figli! fra poco non avrete più Padre».

«Padre anch’io, e fornito di un cuore sensibile, non potei trattenere le lagrime, come non potei trattenerle altre volte nel corso della giornata, procurando sempre però di nasconderle al Detenuto. Era io estremamente commosso non lo nego, ma ciò non intiepidiva il mio zelo pel disimpegno de’ propri doveri; e s’io piangeva sulla sciagura di un mio simile, avrei esposta la vita come doveva, se per poco si fosse tentato da chicchessia di sottrarre alla Giustizia il pegno affidato alla nostra custodia.

«Si presentò allora il Relatore della Commissione [il Froio], invitando Murat a fare la scelta di un Avvocato; ma egli si ricusò dicendo di non volere Avvocati.

«Son certo, disse, di dover morire; Badate però a quel che fate; la Nazione si coprirà di obbrobrio come se ne coprì Napoleone per l’assassinio in persona del Duca d’Anquin [sic]; e Ferdinando potrebbe mettere una bella pagina nell’Istoria lasciandomi in vita; io non tempo la morte; ma spiacemi una morte ignominiosa».

«Il Relatore se ne parvità [sic] quando Murat lo chiamò dicendogli che egli sceglieva per suo difensore il Sig.r Lauria avvocato Napolitano. Fecegli osservare il Relatore allora non potersi a tanto divenire, poiché non sipotev’accordare tempo tale quanto ce ne avrebbe voluto per far venire da Napoli un avvocato. Murat non volle nominare altri; malgrado il suo rifiuto però non gli fu dato un difensore, cui quegli di nulla volle istruire poiché

diceva che tutto sarebbe stato inutile.

«Al partire di questo, presp a dire Murat «Lasciandomi in vita Ferdi-

nando, e rimandandomi, anche solo volesse, presso Napoleone io potrei abdicare al Regno di Napoli, del quale sono stato riconosciuto Re, e su del quale i miei Figli han diritto. Rifletta Ferdinando che Luigi XVIII dopo 25 anni é ritornato sul trono di Francia: Egli dopo dieci anni: I miei figli chi sa…»

«Ritornò il Relatore, ed invitò Murat a presentarsi alla Commissione. Non volle punto andarvi, dicendo non riconoscerla, ed esser per lui incom­petente.

«Lasciatici nuovamente il Relatore Murat tenne discorso tendente a giustificarsi sul disbarco fatto al Pizzo, volendo far credere che da Ajaccio si era imbarcato per Trieste, ma che il tempo contrario lo spinse in Calabria; e perché il legno avea sofferto vi era disbarcato per procurarsi altro legno. Infoanato io appieno degli sforzi fatti da Murat per indurre la popolazine del Pizzo in rivolta, ed a seguirlo fino a Monteleone, gli dissi «SignorGenerale, il fatto però dimostra altrimenti; e quando anche fosse stato com’ElIa dice, non dovea mai disbarcare, e con gente armata in uno Stato, d’onde era stato scacciato colla forza delle armi, e violare anche le leggisanitarie. In un pericolo imminente avrebbe dovuto dipendere dalla Depu­tazione di salute pubblica, ed attenderne i soccorsi».

«Altro a ciò non rispose che «Non mi fu suggerito da alcuno dei miei». «Avea egli sul tavolino ricapito da scrivere — Si pose a vergare una lettera. Mi avvidi che mentre scrivea reprimeva con pena le lagrime, e terminò con un colpo che dette al tavolino, dicendo «Ah! je suis content».

«Poscia fece l’indirizzo alla lettera, che non curò di suggellare, ed a se chiamatomi «Signor Uffiziale, mi disse, dovete farmi un favore; È questa una lettera diretta alla mia moglie; vi prego fargliela arrivare».

«Risposi che non mi credeva autorizzato a farlo, ma che avrei potuto passarla al mio Generale Ed Egli «II foglio, disse, non contiene che la notizia io do alla mia Famiglia dell’ultima mia giornata».

«Replicai che qualunque ne fosse stato il soggetto non avrei mai potuto servirlo. Presemi egli per la mano dicendomi «Datemi dunque la vostra parola di onore che sarete per raccomandare al vostro Generale l’invio diquesto foglio». Tanto promisi, e mi ricevei la lettera».

«Circa le ore 19 d’Italia [ossia le ore 13] Murat si mostrò bramoso di vedere il Generale Nunziante, ed avendogli io risposto che questi non era nel Forte, perché n’era partito appena nominata la Commissione «È chiaro, disse, che ho poche ore di vita, mentre Nunziante non vuole più vedermi, ed anche perché non han creduto mandarmi da pranzo».

«Io stimai a proposito rispondergli che il pranzo per lui era stato ordinato, e che forse non era ancora pronto, ed intanto feci segno ad uno dei miei compagni, il quale da lì a poco sortì, e quindi entrò con un domestico del Generale Nunziante, che si accingeva a preparar la tavola per Murat.

«No’, disse questi, se poco prima ho detto che non mi avevano portato da pranzo, lo fu per farvi conoscere che la mia morte é già preveduta, e che perciò non più era curato: Portate via tutto. Il mio corpo non riceve più cibo alcuno».

«Molte premure gli si fecero onde persuaderlo a prendere qualche ristoro, ma f>er quanto gli si potè dire non ingoiò che due soli cucchiaj di brodo, ed un sorso d’acqua. Indi fece levar tutto.

«Volea persuadere me, ed i miei Compagni che fossimo andati a pranzo, ma io gli risposi che fino a che non sarebbe decisa la di lui sorte, non ci saremmo dal suo fianco allontanati.

«Prese allora un libro che tenea sul lettino, e lesse per pochi minuti (era uno de’ tomi di Metastasio, e ne leggeva il Temistocle) Esclamò poscia chiudendo i libro «Quanto é lunga questa giornata! e quando si disbrigano!»

«Rimase pensoso quindi per più di un quarto d’ora, e poi stropiccian­dosi il fronte «Oh pensieri! [mancano le » di chiusura] Questa parola fu accompagnata da un sorriso.

«Poco dopo rinvenne al discorso della sua venuta al Pizzo, e poiché si era detto che un tale Barbara era al comando del Legno sul quale venne Murat «Signor Generale; e Barbara perché si allontanò col Legno, e fuggì, senza procurare di rimbarcarvi, gli dimandai, Forse per appropriarsi ciò che avevate di prezioso a bordo? »

«No, disse Murat, a bordo io non avea danaro avendo speso due milioni di mio contante per la sussistenza dell’armata, tanto che in Ajaccio dovei pignorare alcuni brillanti, onde noleggiare il Legno, e per altre spese [man­cano le »].

«Circa le ore 22 [ossia le 16] due dei miei compagni mi lasciarono forse per andare a pranzo; essendo rimasto io col quarto de’ miei Camerati.

«Murat disse qualche cosa relativamente all’ultima sua campagna d’I­talia, e conchiuse che se l’armata che comandava non fosse stata troppo giovane, non avrebbe sofferto que’ rovesci, che gli fecero perdere il Regno. Interruppe un tal discorso alzandosi precipitosamente, dicendo «Oh! Ci siamo, andiamo».

«Ciò fu l’effetto di aver veduto entrare il Relatore seguito da un Prete».

«Avvicinatosi il primo [ossia il Relatore] disse a Murat «Signor Gene­rale, la Commissione lo ha condannato a morte»

«N’era già persuaso, egli rispose, badate però a quel che fate., [manca­no le »]. Volea dir dippiù, ma fu interrotto dal Sacerdote, che gli si fé’ presso dicendogli «Signore, non é più tempo di pensare a cose di questo mondo; E d’uopo pensare all’anima… [mancano le » e successive «] Oh, io non so che dire (interruppe Murat) Ho fatto sempre del bene: chi ha a me ricorso, anche condannato a pena Capitale, ha ottenuto grazia: ho mandato alla Casa de’ matti chi ha attentato alla mia vita… [mancano le »]. ‘

«Ripigliò il Sacerdote dicendogli che ogni buon Cristiano dovea rico­noscere Iddio e riconciliarsi con lui specialmente vicino a morte, [mancano le »] Si, disse Murat, io conosco Iddio, conosco la Ssma Trinità» Qui essendosifatto più da vicino a Murat il Sacerdote disse poche altre parole, alle quali anche Murat rispose, ma tanto sottovoce che non furono da me intese, dietro le quali il Sacerdote pronunciò l’assoluzione. Ciò praticato soggiunse questi «Signore vi domando una grazia. Siccome potrebbe esservi chi dicesse che siete andato a morte impenitente bramerei che di vostro pugno scriveste poche parole, le quali attestino che andate a morire da Cristiano».

«Si, rispose Murat, e presa la penna invitò me a scriverle in italiano, che egli avrebbe segnato; Ma da me indotto, stese pochi versi in Francese, e consegnolli al Sacerdote.

«Dietro questo domandai a Murat se desiderava di lasciar detto cos’alcuna prima di trapassare, ed egli ingraziandomi disse soltanto «Vi prego, Sig.r Uffiziale, di passare in mano del mio Cameriere quella Mostra (addi­tandomela) poiché mi ha servito, e non ho altro da dargli».

«Quando tanto ebbe detto «andiamo [mancano le »], continuò, e  scagliossi verso la Porta seguito da me, dall’altro uffiziale mio compagno, e dal Sacerdote.

«Nel sortir dalla Porta v’era la picciola Piazzetta destinata alla esecu­zione, ed a fronte di quella una sedia con dirimpetto i Soldati per la fucilazione. Qui pervenuto Murat si volse alla truppa dicendo

«Dove devo essere?»

Gli venne additato il luogo: Vi corse, baciò il suggello che non aveva mai lasciato, se lo strinse al petto, e rifiutando di essere bendato

«A voi soldati, esclamò, tirate; non mi mancate però»

La Truppa eseguì, e cadde morto all’istante».

«Ritiratomi in una stanza lessi la lettera da Murat scritta alla sua Famiglia che era espressa così:

«Ma chere Caroline

«L’heure fatale est suivi; dans quelque moment j’aurai cesse de vivre. Tu «n’auras pas d’epoux, et mes enfans n’auront plus de Pére. Souvenez vous de moi, «ne maudissez pas ma memoire; Je meur innocent; ma vie ne sauroit ètre souillée «par un jugement injuste. Adieu mon Achille, adieu ma Letizie, adieu mon Lucien, «adieu ma Louise. Montrez vous toujours dignes de moi; Je vous laisse sur une terre, «et un Royaume ou milieu des nombrex ennemis. Soyez toujours vos unis; montrez «vous superieurs à l’avversile; Soyez vertueux, rappellez vous plutot a que vous ètéz, «que vous avez ètè. Dieu vous benira: ne maudissez jamais ma memoir: donnez «quelque occasion a vous souvenir la plus grande douleur que j’eprouve a mon «dernier moment, c’est celle de mourir loin des mes enfans, loin de mon amie et de « n’avouir aucun ami pour fermer mes [f. 179] paupièrs: adieu ma Caroline; adieu mes «enfans, recevez vous ma bendiction paternelle; mes pleure, tendres embressements; «adieu, adieu; vous n’oublierez jamais votre malheureux pere = Joaquin = Au Pizze «le 13 Ottobre 1815 = Je prie que mon corps vous envoye; je 1 espére que se faira, «et que soit deja facile = ».

«Passai questa lettera [quella di Carolina] al mio Generale, al quale manifestai le premure fattemi da Murat, e la promessa che volle esigere da me per raccomandarne il recapito, non che di consegnare al cameriere la mostra lasciatagli dal suo Padrone, la quale gli fu recata immantinente»”.

«Pizzo 14 ottobre 1815» [senza firma]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 624, Fogli 27-28:

CAPECE MINUTOLO, Vescovo di Mileto, al Ministro Tornasi (8 Giugno 1816)

[Omissis]

«Lo stesso [Masdea] però nei passati dieci anni (debbo pur confessarlo) niun segno di particolare attaccamelo mostrò mai per la Real Dinastia de’ Borboni, cosa nota, notissima a tutto il pubblico, ed era per questo non ben guardato dai più che sospiravano il legittimo loro sovrano; tant’é vero ch’ei godeva la grazia dell’Inten­dente Petroni, il quale non so come abbia potuto caratterizzarlo nel suo rapporto con queste pressioni che ardisco controsegnare, nella Copia da V.E. graziosam.te allega­tami, per fargliele rimarcare diametralm.te opposte alla verità.

«Il can.co decano Masdea nell’arresto di Murat non mi costa di aver prestato altro servizio fuor di quello di essersi immediatamente ferrato nella propria casa co’ suoi. E sarà forse uscito con tutti gli altri per vederlo vicino alla prigione.

«Nell’ora della Commissione tenuta fu invitato per assistere e suggerire gli atti di Religione. Vi entrò dal principio, e si dimorò per circa sette ore nel Castello in quel tempo che i componenti la Commissione predetta si applicavano alla decisione, né per quell’atto toccava al Masdea di aprire bocca, o di farvi presenza, checché n’avesse egli scritto sin d’allora a me pure per farmi credere gli effetti del suo zelo presso Murat; ma dovend’ora riferire alla M.S. e press’altri […] debbo dire che dietro la sentenza v’era l’angusto termine di un quarto d’ora per l’esecuzione.

«Cinque minuti si consumarono in contrasto tra Murat, col Capitano relatore che gli annunzio la condanna; e ne’ rimanenti altri dieci, in cui ebbe adito il degno Ministro Masdea a ragionare coll’infelice sentenziato, gli riuscì di avere in scritto il sentimento generale che in verità non é poi di gran peso per un uomo tanto famoso nella sua vita. Io mel’auguro salvo per qualche interna ispirazione della divina grazia, la infinita misericordia, non già pel […] di ciò che trovo scritto».

[Omissis]

(Si tratta di una minuta, che sembra originale ed autografa.

In seguito alle numerose jattanze dei cittadini del Pizzo, i quali rivendicavano ciascuno il merito della propria azione nella vicenda murattiana, anche il Canonico T.A. Masdea, con la nota lettera 18 Ottobre 1815, pubblicate poi dal Colletta e da altri, avanzò le proprie rivendicazioni. Il Re incaricò allora il Ministro di Grazia e Giustizia, Donato Tommasi, di svolgere un’inchiesta per stabilire la veridicità di quanto affermava il Masdea. Ed il Ministro si rivolse al Vescovo di Mileto, il quale rispose con la sudetta lettera, in cui mostra apertamente la sua sprezzante diffidenza verso il Masdea).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623. Foglio 125:

CIRCELLO (Marchese di) agli Ambasciatori Esteri a Napoli (15 Ottobre 1815)

«Portici li 15 ottobre 1815

«Cav.e A’ Court

«Inviato […] Jablonovsky

«Ambasciatore […] di Francia Conte di Narbonne

«Inv.to Conte Mocenigo

«Incaricato Comendatore Aguilar

«Incaricato il Cav.’ Quiss

«II sottoscritto Marchese di Circello si fa un dovere di comunicare a S. Ecc.za il Sig. Cav.e A’ Court [identiche, mutatis mulandis, le altre missive] che per notizia telegrafica venuta dal Pizzo viene avvisato che dopo un Consiglio di guerra colà convenuto il Generale Murat fu condannato ad essere fucilato, e che così fu eseguito nel giorno 13 del corr.te alle ore 22 italiane.

I dettagli si aspettano coll’arrivo del Corriere.

«Il Marchese scrivente rinnova all’E.V. i suoi sentimenti colla più distinta considerazione».

(Si tratta della minuta, che non sembra autografa, di un modello il quale, diretto al rappresentante inglese, doveva essere riprodotto anche per gli altri Ambasciatori menzionati nell’indirizzo.

Tommaso Di Somma, marchese di Circello, era a quell’epoca Ministro degli Affari esteri)

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 587:

COMMISSIONE MILITARE, Denuncia del Cap.no Trentacapilli (13 Ot­tobre 1815):

«L’anno 1815 quest’oggi 13 Ottobre nel Castello del Pizzo «La C.ne mil. nominata e riunita per giudicare l’ex gen. francese Gioacchino Murat, nella lettura ed esame degli atti ha avuto luogo di osservare delle inescusabili insubordinazioni ed indelicatezze del nominato Sig. Gregorio Trentacapilli Capitano di gendarmeria destinato a Cosenza ma residente ora in questo comune. Egli raccolse, senza trasmettere, come subito doveva, al Sig. Generale Comandante la Divisione moltissime Carte, che potevano essere interessanti al pubblico ordine, armi e gioie degli arrestati, e specialmente ventidue brillanti di gran valore di Murat med.o. La Commissione stima proprio d’informare di tutto ciò il Sig. Generale Nunziante, munito dell’Alter Ego per le disposizioni che nella sua saviezza crederà conveniente al caso. [Seguono le firme autografe di tutti i giudici, come nella sentenza, riportata appresso).

(Testo originale del provvedimento, dal testo del quale si evince limpidamente ch’esso dovette essere sollecitato dal Generale Nunziante.

Sebbene, infatti, non si manchi di sottolineare, nella chiusa finale, che «la Commissione stima proprio d’informare […] il Sig. Generale Nunziante», tutti i particolari che la precedono tradiscono l’intervento di Nunziante, che non dev’essere stato soltanto un «istante»).

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Fogli 588-594:

COMMISSIONE MILITARE Sentenza di condanna di Murat (13 Ottobre

1815):

«Ferdinando IV p. la grazia di Dio Re delle due Sicilie, Gerusalemme

«La Commissione militare nominata giusta gli ordini del Governo [chiamata a margine] dei 10 Corrente Ottobre mille ottocento quindici dal Sig.r Generale Nunziante, munito della facoltà di AlterEgo nelle Calabrie, composta dei Signori

«GIUSEPPE FASULO Aiutante Generale Cavaliere dell’Ordine Reale delle due Sicilie, e Capo dello Stato Maggiore della 5″ Divisione Territoriale, Presidente.

«Barone RAFFALE SCALFARO Cavaliere dell’Ordine Reale delle due Sicilie, Capo Legione di Calabria ultra

«LETTERIO NATOLI Commendatore dell’Ordine di S. Ferdinando, e nel merito Tenente Colonnello della R. Marina

«GENNARO LANZETTA Cavaliere [f. 588 retro] dell’Ordine delle due Sici­lie, Tenente Colonnello del Genio nella Calabria

« MATTEO CANNILLI Capitano della Reale Artiglieria

«FRANCESCO DE VOUGE Capitano d’Artiglieria

«FRANCESCO PAOLO MORTELLARI Tenente d’Artiglieria Giudici

«FRANCESCO FROIO Tenente del 3″ Regg.to Estero Relatore con l’inter­vento del Sig.r GIOVANNI LA CAMERA Regio Procuratore Generale presso la Corte Criminale di Calabria ultra e con l’assistenza del Sig.r FRANCESCO PAPA-ROSSI Segretario.

«Riunita alle ore 10 antimeridiane di questo mese di ottobre, ed anno milleot-tocento quindici [chiamata a margine] nel Castello del Pizzo per giudicare l’arrestato Generale Francese Gioacchino Murat qual pubblico nemico

[omissis]

«[foglio 594] Fu deciso, e decise, essere applicabili siffatte sanzioni penali a Gioacchino Murat

«Perciò all’istessa unanimità, lo ha [f. 594 retro] condannato e condanna alla pena di morte [chiamata a margine] con la confiscazione de’ suoi beni

Ordina

«che la presente sentenza sia eseguita a cura del Relatore, e che se ne imprimano cinquecento copie.

«Alle ore cinque pomeridiane del giorno mese, ed anno come sopra.

[seguono le firme autografe] Giuseppe Fasullo Aiutante G.le Capo dello Stato Maggiore Cav.re del Real Ordine delle due Sicilie Presidente

B.ne Raffaele Scalfaro sotto [?] Comand.te la legione della Calabria ulteriore cavaliere dell’Ordine Reale del due Sicilie

Letterio Natoli Comm.re del R. Ord. di S. Ferdinando e nel merito Ten.te Col. e Com.te di Div.ne di Cav.a Giudice

Tommaso Lanzetta Ten.te Colonnello del Genio Cav.re del R. Ordine delle due Sicilie Direttore delle Fortificazioni delle Calabrie

Frane. De Vouge Cap. Cav.r d’Art.

Matteo Cannilli Cap.no Ten.te d’Art.

Franc.co P.lo Mortillaro, Ten.te d’Art.a

Fran.co Frojo Ten.te Relatore»

[ed a margine] Francesco Paparossi, Segretario Giovanni La Camera R.o Proc.e Gen.le»

(Trattasi della minuta originale dell’intera sentenza, che come si rileva da quanto ne ho sopra riportato, contiene anche cancellature e richiami a margine: Ho tralasciato di riprodurne la motivazione, perché già pubblicata in moltissime altre storiografie.

Da notare la discordanza tra intestazione della sentenza e firme autografe, relativamente ad alcuni nomi (Lanzetta Tommaso e non Gennaro, e Mortillaro, invece di Mortellari).

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 95:

CONSIGLIO DI STATO, Deliberazione istitutiva della Commissione militare (10 Ottobre 1815):

«In questo momento che sono le 9 1/4 della mattina di martedì 10 del corrente uniti noi qui sottoscritti, in consiglio e per le facoltà dateci da Sua Maestà sul rapporto telegrafico essendosi saputo che al Pizzo sia stato arrestato il gen. Murat con quindici o venti uomini e che sia in consegna al generale comandante abbiamo risoluto di spedirsi subito per corriere al generale Nuziante i seguenti ordini:

1) riunire un consiglio di guerra, o sia commissione militare, per giudicarlo come pubblico nemico;

2) fatta la sentenza, coll’intervallo di un quarto d’ora per la preparazione della reli­gione, ne proceda all’esecuzione;

3) per i suoi seguaci per quelli che sono sudditi del Re napolitani, o siciliani giudichino allo stesso modo, e si passi all’esecuzione della sentenza anche nell’intervallo di un quarto d’ora.

«Il generale Comandante é responsabile dell’esecuzione.

«Soggiunta — Per i seguaci esteri si tenghino custoditi vita per vita, e si aspettino gli ordini ulteriori.

«Napoli dieci ottobre alle ore nove ed un quarto 1815. Il marchese di Circello. De Medici. Tommasi»12.

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 81:

DEL GADO GIROLAMO (Rapporto dell’8 Ottobre 1815):

«Pizzo 8 Ottobre 1815

«Ho l’onore partecipare all’E.V. come questa mattina alle ore 10 e 1/2 anti-neridiane un Bove, ed una Scorridore armati colla Bandiera del Re, […]

«… però non incontrando [Murat e compagni] niun partito a lor vantaggio dalle autorità militari, e civili del Paese, dal Signor Francesco Alcalà di nazione spagnola, Amministratore del Signor Duca dell’Infastado, e da tutti gli Individui del Paese, tutti armati, di primo, e Secondo Ceto, furon li nominati Individui sbarcati, nel momento arrestati e condotti in questo Castello sì il generai Murat, che il suo seguito. I due corsari si sono allargati dalla spiaggia, e per non esserci forza per inseguirli, perché tutti trovansi occupati per arrestare gli individui calati a terra, si sono colla fuga salvati.

Girolamo Del Gado»

(Il Del Gado era il Capitano di porto).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 113:

MINISTRO DE MEDICI a Re Ferdinando (10 Ottobre 1815) (II testo é già stato riportato a pag. 66 del volume.

Trattasi di una minuta autografa, ma senza data, inserita tra il foglio 112 (lettera dell’I 1 Ottobre) ed il 114 (lettera del 12): Ma, dato il suo tenore, deve trattarsi quasi certamente di un errore di affascicolazione: la lettera fu certamente provocata da quella del Frilli del 10 Ottobre.

Luigi De Medici (o com’egli scriveva: de’ Medici) era Ministro delle Finanze e dell’Alta Polizia, ovvero Polizia Generale,

Sul De Medici, cfr.: Blanch L., n. 9 bis; e Maturi W., n. 97 bis)

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 94:

MINISTRO DE MEDICI al Gen. Nunziante (10 Ottobre 1815)

«In seguito dell’avviso telegrafico ricevuto stamane alle nove e un
quarto di essere stato arrestato al Pizzo il generale Gioacchino Murat il
Consiglio di Stato radunato per ordine di Sua Maestà ha fatto l’appunta­
mento qui unito. Mando immediatamente a V.S.I. ma per espresso comando
di Sua Maestà l’appuntamento predetto, e nel Real Nome le prescrivo di
dare allo stesso sotto la sua responsabilità il più esatto adempimento, ren­
dendo conto dell’esecuzione tanto col telegrafo, quanto collo stesso corriere,
che le spedisco a tale effetto ed in ogn’altro modo più spedito, che crederà
opportuno.                           ,

«Non le parlo di ogni provvedimento che posson essere necessari per la pubblica tranquillità, essendo nella sua facoltà di prenderli tutti, non di meno l’autorizzo a dare tutte quelle disposizioni che l’importanza del casopuò esigere, giacché con questa lettera in nome del Re le do’ Xalter ego.

«Napoli 10 ottobre 1815. Luigi de’ Medici»”.

(Si tratta della minuta autografa. L’originale si trova invece in ARCHIVIO PRIVATO NUNZIANTE Parte, I, Fase, II, n° 4, voi. XIX)

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 112:

MINISTRO DE MEDICI a Re Ferdinando (11 Ottobre 1815)

 

«Signore, Nel momento mi arrivano i seg.ti e chiari rapporti che mi affretto ad umiliare a V.M. Vedrà che in Calabria tutt’é nel mass.o ordine, e come Murat sia stato arrestato. Bisogna convenire che tutte le autorità locali si sono perfettamente com­portate. Mi metto ai Suoi Piedi. Napoli le ore 8 del giorno 12. V.” umil.” e fed.” Luigi De Medici»21.

(D testo é già stato da me riprodotto a pag. 69 del volume. Si tratta della minuta autografa).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 114:

MINISTRO DE MEDICI a Re Ferdinando (12 Ottobre 1815) «S.R.M.

«Signore

«Nel momento m’arrivavano i seg.ti e chiari rapporti che mi affretto ad umiliare a V.M. Vedrà che in Calabria tutt’é nel meg.o ordine, e come Murat sia stato arrestato. Bisogna convenire che tutte le autorità locali si sono perfettamente com­portante.

«Mi metto ai suoi piedi

«Napoli le ore 8 del giorno 12

«V.o umil.mo e fed.mo vostro

«Luigi de Medici»

(Originale autografo)

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 118:

MINISTRO DE MEDICI a Re Ferdinando (13 Ottobre 1815) «S.R.M.

«Signore

«In questo momento che sono le 7 della mattina mi perviene l’annesso rapporto di Nunziante con i primi dettagli dell’arresto. V.M. riderà dei pugni de’ quali é stato onorato Murat.

«Mi metto ai suoi piedi col più profondo ossequio Di V.M.        Napoli le 7 di Venerdì 13 ottobre 1815 V. umilis.o e fedels.o Vas.Ilo Luigi De Medici »

(minuta originale ed autografa)

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 647 retro:

MINISTRO DE MEDICI (appunto senza data, ma del 24 o 25 ottobre 1815)

«Si risponda che S.M. é rimasta contenta del modo della redazione della sentenza: ed ha veduto che gli ordini di non pubblicarla essendo giunti troppo tardi non han potuto avere la loro esecuzione»

(L’appunto é di pugno del De Medici. In testa, ma con altra grafia sta scritto: «Al Gen. N.», ed in calce, sempre con altra grafia: «eseguito a 25 ottobre 1815». L’appunto si riferisce manifestamente alla lettera del Gen. Nunziante del 19 Ottobre precedente: Fascio 656, Foglio 646).

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 426:

MINISTRO DE MEDICI al generale Vito Nunziante (senza data): «Avendo saputo il Re, che il Capitano Trentacapilli abbia lasciato il suo Posto, e siasi qui recato senz’autorizzazione di V.S. Ill.ma, né del Comand.te della Provincia; ordinò la M.S., che il medesimo fosse immediatamente messo in arresto; e scorsi alcuni giorni, intanto S.M. di sua Real Clemenza, si é degnata di farlo mettere in libertà. Essendosi quindi dal pred.o Trentaca­pilli espiato quest’atto d’insubordinazione, ch’egli confessa di avere incon­sideratamente commesso, ho creduto di non rimettere al Sup.mo Consiglio il rapporto da V.S. Ill.ma su tale assunto»40.

Si tratta di una minuta, senza data né firma ma di pugno del Ministro, che risponde con essa alla lettera di Nunziante del 29 Ottobre 1815).

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 521:
    MINISTRO DE MEDICI (appunto senza data):

«Mandarsi [una parola illeggibile] le dette notizie tutte le carte a Castelcicala per farne rediggere articoli per le gazzette di Francia e d’Inghilterra».

(Per il commento, v. retro, p. 113).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 141:
    FERDINANDO IV Lettere al figlio Francesco:

 

La prima notizia dello sbarco giunse a Napoli alle 23 e 3/4 (= 17.45) del 9 Ottobre, attraverso un «rapporto semaforico» ricevuto a quell’ora dal «corrispondente telegrafico» Traversa, il quale concludeva che «il discorso non é terminato per causa delle tenebri»4. Questo dispaccio fu poi conse­gnato al Re solo verso le 5 del mattino seguente.

Presso a poco verso la stessa ora in cui il dispaccio veniva ricevuto dal «corrispondente telegrafico» Traversa, il Re aveva scritto al figlio Francesco la lettera seguente: «Ho letta la nota che mi hai rimessa di tutte le disposi­zioni che hai date per codesto Regno, onde prevenire ogni colpo di mano che potesse tentare Murat e ti contesto [sic] tutta la mia soddisfazione per la somma avvedutezza colla quale hai saputo prevedere ogni caso, e per l’escogitata precedente maniera onde ottenere l’effetto all’occasione che Dio non voglia si dasse’ [omissis].

«Essendo corsi in questi giorni delle interessanti novità intorno a Murat, che spero al Signore voglia farle realizzare [la notizia dell’efficacia delle particolari misure difensive approntate contro Murat?] qui avvolte per te ne rimetto il dettaglio fino all’ora che chiudo questa mia, riservandomi di dirti ogni altra cosa che potrà esservi colla Posta ventura, o per corriere espresso. [Omissis]

«Fino a questo momento che sono le ore 23 [ossia le 17] non vi niun’altra novità per Murat»6.

 

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Fino alla tarda sera del 13, dunque, il Re non conosceva ancora la sorte di Murat. La notizia dell’avvenuta esecuzione giunse infatti a Ferdinando solo il giorno successivo, ossia il 14. Ma prima di riceverla aveva già scritto, sotto la data dello stesso giorno 14 (data che, come é già visto in altra occasione, può essere quella della spedizione) una lettera al figlio Francesco, che diceva: «In seguito di quanto ti scrissi colla Posta passata sul conto di Murat, eccoti qui avvolto il racconto di quant’altro é occorso pel med.o [l’alligato era probabilmente una copia del suo Cenno isloricó]. Del corr. ch’io ti annunciai d’avere spedito al Nunziante non ho avuto ancora verun riscontro, e credo che prima di domani, o forse poi domani non potrò averlo, meno che non lo anticipi con avviso telegrafico [come infatti avvenne]»2. Seguono altre considerazioni sull’operato del Trantacapilli, ma nessuna sul processo del Pizzo.

Nel Giornale del 14, viceversa, si accenna per la prima volta alla fucilazione di Murat.

Sabato 14 Dormito mediocremente alzatomi alle cinque vestitomi in­tesa la S.a Messa con Leopoldo ed alle sette andato alla Villa ammazzato 22 cucciarde [allodole] e 7 quaglie ritornato alla mezza cambiatomi stato un momento in conversazione pranzato riposato sin quando ho parlato un poco con L e poi applicato presa la S.a Benedizione parlato coi Segretari venuto rapporto telegrafico che di aver stato per sentenza della Commissione mili­tare fucilato Murat il 13 fatto il Consiglio che dava [due parole illegibili] e prima delle undici a letto. Tempo bellissimo e molto caldo di tramontana [?]»’•

Come si vede, Ferdinando non si scompose eccessivamente per la sorte di Murat. Ed il saperlo sottoposto ad un giudizio in cui la condanna capitale era già scontata in partenza, non gli sconvolse affatto la calma abituale, né gli impedì la solita «applicazione» alla sua cara Lucia.

Egli considerò dunque il processo e l’esecuzione come un affare di ordinaria amministrazione. II giorno successivo lo aveva infatti già messo talmente da parte, da dare una festa da ballo (che, come tutte le feste di Corte, doveva essere stata già programmata da molti giorni, e forse anche prima dell’arresto del suo rivale). Il Giornale di operazioni, sotto la data del 15, registra:

«Domenica 15 Dormito grazie a Dio bene alzatomi alle cinque vesti­tomi intesa la S.a Messa e poi andato alla Villa dove ammazzato 24 cucciarde  e 16 quaglie [o ciavole = cornacchie, come scrive la Valente?] ritornato alla mezza andato a [parola illegibile] alla Favorita cambiatomi ed alla una pranzato colla solita compagnia [tre parole illegibili] dove il pomeriggio [una parola illegibile] fino [due altre parole indecifrabili] data la festa da ballo come la precedente che riuscita anche brillante [omissis]»4.

Nessun altro accenno nei giorni successivi, sino alla fine di ottobre ed oltre.

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Ed ecco ora come Re Ferdinando, in data 18 Ottobre, partecipava al figlio Francesco la notizia della fucilazione di Murat: «[Omissis] Forse prima che ti giunga questa mia, avrai saputo dalla via di Calabria che Murat più non esiste, mentre la Commissione Militare eretta nel Pizzo Io condannò ad essere fucilato, e la sentenza fu eseguita il giorno 13 del corrente alle ore 22 d’Italia [le 16, il che era però inesatto], così essen­done spedito qui il rapporto Nunziante. Se prima di spedire questa mia giungeranno i dettagli intorno la procedura ed esecuzione, te ne raggua-glierò con ogni altra circostanza. [Seguono altre considerazioni circa il sup­posto ruolo giocato dal Bentinck nell’impresa di Murat]»8.

«Quando io ti scrissi per staffetta espressa la mia lettera di proprio pugno indicandoti le precauzioni da prendersi per guardarsi dei colpi di mano di Colui [lettera non da me riportata, perché estranea al mio argomento], avrai scorto che tirai le mie congetture relativametne a Bentinck dietro i sospetti concepiti di avere Egli relazione, ed un concerto con Murat.

«Tali congetture sembra ora che non furono prese di proposito, mentre si sa certamente che Murat partì di Corsica ai 26 [Murat partì in realtà alle due dopo la mezzanotte tra il 28 ed il 29 settembre] di settembre facendo la rotta sotto costa la Sardegna, e diriggendosi poi per le Calabrie con dei piccoli legni carichi di truppe, i quali se per buona nostra sorte non fossero stati sbandati dal cattivo tempo di mare, avrebbero fatto lo sbarco in quel punto che doveva essere stato concentrato, ed io non so come l’affare sarebbe andato, in tal caso, se Bentinck si fosse trovato in questo Regno. Può stare che io mi inganni, e. Dio lo voglia, ma di conoscere a fondo la perfidia di Bentinck non mi dissuade dal sospetto delle sue trame, veduta e cono­sciuta la premurosa partenza ch’egli fece da Livorno [omissis]. Bisogna credere che egli aveva per oggetto di trovarsi nel Regno contemporaneamente a Murat per così dardi mano col suo spirito rivoluzionario ad una sommossa […] contro di me, mentre dalle carte trovate presso di Murat si vede, che tutto a tal uopo aveva Egli preparato come nel foglio di ragguaglio che in passata [?] ti rimisi avrai scorto all’articolo che tratta delle carte trovate, e per le quali spero che avrai osservato il più scrupoloso segreto. [Omissis]».

(Queste supposizioni sul Bentinck [per iJ quale v. la nota 41 a pag. 60 del testo] furono poi riconosciute erronee da Re Ferdinando, nella sua lettera del 2 Novembre (v. appresso).

La lettera seguente, n” 37, datata 21 Ottobre, dice:)

«[Omissis] Non interloquisco pel resto del contenuto della predetta tua [si riferisce alle N” 55 e 56 del figlio Francesco, che saranno riportate appresso] né dell’altra che é relativo a Murat, avendoci Iddio liberato dal flagello che colui voleva portarci, debbo però sempre di più lodare le saggie ed avvedute disposizioni che avevi dato per prevenire i di lui tentativi».

(Altra lettera, n” 41 del 3 Novembre).

Scrisse infatti Re Ferdinando, alquanti giorni dopo, e precisamente in data 3 Novembre, al Principe Francesco: «A proposito di quanto ti scrissi ai

18 del caduto ottobre colla mia lettera n” 36 su dei sospetti che avevo che Bentinck41 fosse d’accordo con Murat ti rimetto qui annessa la copia di un discorso che il Colonnello Robinson ebbe con Murat quando andiede a visi­tarlo al Pizzo. […] Murat, dimostrandole [a Robinson] l’orgasmo in cui si trovava per l’accadutogli proruppe in straordinaria collera contro di Bentick, dicendo che Egli era stato la cagione principale dell’attuale doloroso stato in cui si trovava»A2.

 

La corrispondenza sopra riportata é tutta contenuta nel Fascio 141, relativo alle lettere scritte da Re Ferdinando al figlio Francesco, e viceversa, tra il 21 Settembre 1815 ed il 20 Dicembre 1815.

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 130:

«GIORNALE DI OPERAZIONI DI S.M. IL RE FERDINANDO TUT­TO DI SUO SACRO CARATTERE»

(Le annotazioni relative alle giornate dal 10 al 15 Ottobre sono state riportate alle pagine 65, 69, 70, 105, 106 e 107 del presente volume.

Il titolo, che ho sopra fedelmente trascritto, é certamente opera di un cortigia­no. La collezione é composta di ben 28 volumi rilegati, di cui quello che concerne il 1815 costituisce appunto il Fascio 130 dell’Archivio, che comprende quindi i Fasci dal 111 al 138.

La grafia é uniforme, minuta, esile, incerta, e talora addirittura tremolante.

Questo Giornale é di assai scarso e deludente contenuto, in quanto serviva al Re per fissare mnemonicamente — per suo uso esclusivo — gli avvenimenti del giorno che, a suo esclusivo giudizio, intendeva ricordare, e spesso con una chiave di lettura nota a lui solo. La sua interpretazione é quindi assai spesso molto ardua, tanto più ch’egli, forse di proposito, non usava né punteggiatura, né lettere maiuscole. Le sue frasi suonano quindi talora come il celebre «redieris non morieris in bello» della

Sibilla cumana.

Egli usava poi una terminologia meramente convenzionale: la parola «scritto», per esempio, ricordava a sé stesso di aver scritto qualcosa, e forse anche dettato delle lettere, che però non precisa. Gli affari di Stato trattati venivano espressi con la formula di stile «sbrigato qualche affaruccio».

Addirittura spassosa, come ho già accennato nella Prefazione, é la parola adoperata per registrare scrupolosamente ogni proprio rapporto sessuale completo con la moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia: «Applicato». Si tratta di uno strano termine (sostituito qualche volta da un punto, che probabil­mente doveva avere un significato alquanto diverso e noto a lui solo) usato esclusi­vamente quasi immediatamente (ma non sempre) dopo la registrazione di una visita alla moglie, da lui indicata costantemente con la lettera L (il nome per intero appare, per ciò che riflette il periodo Ottobre-Dicembre 1815, una sola volta, sotto la data del 3 Dicembre).

Il giornale registrava scrupolosamente la partecipazione alla Messa mattutina ed alla Benedizione serale, nonché il numero e la specie dei capi di selvaggina abbattuti. E, dopo la registrazione dell’ora in cui il sovrano era andato a letto, terminava invariabilmente con delle annotazioni meteorologiche.

Di questo Giornale è apparso un estratto, presentato ed annotato diligente­mente da UMBERTO CALDORA, con il titolo: Ferdinando IV  Diario segreto, edito a Napoli nel 1965: Ma comprende soltanto gli anni dal 1796 al 1799.

A pag. VIII-IX della Prefazione, il Caldora adopera concetti presso che simili a quelli da me sopra esposti).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, fogli 1-6: RE FERDINANDO:«CENNO ISTORICO DELLA PRESA DI MURAT»

Maggiori notizie sugli avvenimenti di Corte del giorno 10 si trovano invece nel Cenno isterico sulla presa di Murat, redatto da Re Ferdinando, che, come risulta dal suo contenuto, fu iniziato certamente 1′ 11 mattina, e terminato la sera del 13, prima di conoscere l’esito del giudizio.

10 Ottobre 1815

«Ieri mattina 10 dell’andante ricevei un rapporto telegrafico in data dei 9 di questo stesso mese, col quale mi si disse ciò che siegue, «È sbarcato al Pizzo Murat con quindici uomini, ed é stato arrestato con tutti i suoi: egli é in consegna del generale Napolitano, Comandante ivi, il quale attende gli ordini del Re».

«Verso le ore 10 della stessa mattina per via del telegrafo mi si disse, «che il generale Napolitano Comandante la Divisione Militare ordina al Comandante delle sei Cannoniere, e tre scorridore di portarsi subito al Pizzo co’ detti legni per iscortare un Generale Francese nemico, che é sbarcato, ed é arrestato al Pizzo».

«In seguito di tali avvisi radunai all’istante il Consiglio di Stato per concertare le disposizioni, che all’oggetto doveano darsi, in risulta spedi] da qui all’ora di mezzogiorno un Corriere a Nunziante co’ seguenti ordini.

l.mo Che riunisse subito un Consiglio di guerra, o sia Commissione Militare per giudicare quel Generale come pubblico nemico.

2.do Che fatta la sentenza coll’interv. di un quarto d’ora per la prepa­razione della Religione, procedesse all’esecuzione.

3.zo Che pe’ suoi seguaci, quelli che sono sudditi Napolitani, o Siciliani, si giudicassero allo stesso modo, e che passassero all’esecuzione della sen­tenza anche coll’intervallo di un quarto d’ora.

4° che per i seguaci Esteri fossero detenuti vita per vita, e custoditi in apettanza de’ miei ordini.

«Della esatta esecuzione di ciò ne ho costituito responsabile il suddetto Generale Nunziante, al quale, nel dispaccio fatto da Circello, ho fatto soggiungere che lasciavo alla facoltà di esso Nunziante il prendere tutti quei provvedimenti che erano necessari per la pubblica tranquillità, e che l’auto­rizzavo a dare tutte quelle disposizioni che l’importanza del caso avrebbe potuto esiggere, per le quali gli davo l’alter ego.

«Ieri sera poi riunitosi di nuovo il Consiglio di Stato, e riflettendo, che la chiamata fatta dal Generale Napolitano, Comandante in Calabria le d.tte sei Cannoniere, e tre Scorridore, potea essere stata ad oggetto di mandarsi in Messina quel Generale nemico, così nel supposto, che tale spedizione in Messina si fosse fatta dal citato Generale Napolitano prima, che gli fosse giunto il corriere, co’ già detti miei ordini, mi risolsi di spedire alle ore 10 della sera un altro Corriere al Principe di Scaletta in Messina, ed istruendo a questo di tutto ciò, che era occorso nell’assunto gli passai i med.mi ordini, che avevo spediti a Nunziaote e gl’imposi di eseguir lui scrupolosamente tutto ciò che a Nunziante avevo prescritto, dato il caso, che il rtbminato Gen.le nemico fosse giunto in Messina»14.

11 Ottobre 1815

«Questa mattina [giorno 11] poi, anche al fare del giorno, ho ricevuto
altro rapporto telegrafico, in data di ieri sera, col quale mi si é avvisato, che il
Comandante dei Legni da guerra Napolitani avea partecipato di aver arre­
stati due Paranzelli di nazione corsa, che portavano a bordo 42 soldati, ed un
Capitano, che al Pizzo stava arrestato un Generale Francese nemico, e che da
Palinuro erano stati spediti per Napoli una Cannoniera ed un Paranzello in
qualità di corrieri.           (

«In seguito di questo secondo avviso, ho dato le convenienti disposi­zioni per tutto ciò, che dovrà eseguirsi allorché avvisteranno i suddetti Paranzelli fatti prigionieri, come altresì per la Cannoniera, e Paranzella, spedite da Palinuro»17.

12 Ottobre 1815

«Ieri mattina [ossia giorno 11] alle ore sette ricevei i rapporti che da Monteleone, in data degli 8 ottobre furono diretti ad esso segretario di Stato Caval.r de Medici, dal Procuratore Gen.le della Corte Crirminale di Calabria ulteriore Dn Giovanni La Camera dal giudice di Pace del circondario di quel luogo D. Francesco Mazza, e dall’aiutante Gen.le, a Capo dello Stato Mag­giore della quinta Divisione territoriale colà, D- Giusep.e Fasulo, come altresì ricevi [sic] quello dell’Intendente della Provincia F.S. Petroni, e slmilmente i rapporti, che dal Pizzo in data degli 8 sud.tto fecero al med.mo  Intendente, al Giudice di Pace, al Sindaco, e alla Collegiata deputazione Sanitaria di quel luogo.

«Da tutti questi rapporti rilevai, che la mattina degli 8 succitato tra le ore 16 d’Italia sbarcò nella marina del Pizzo Gioacchino Murat, e si portò immantinenti in mezzo quella Piazza, incominciando a gridare: Io sono Gioacchino, dite tutti Viva Gioacchino Murat [questa ricostruzione era assolutamente arbitraria].

«A queste voci il Popolo restò un poco confuso, ma indi subito ani­matosi corse alle armi, e diede sopra di lui, ed al suo seguito, di modo che restò morto un Capitano de’ suoi, ed otto furono feriti. Che finalmente fu arrestato Murat con tutti quelli, che erano seco lui e furono rinchiusi in quel Castello.

«Le due Barche, sulle quali era venuto Murat con i suoi non si poterono arrestare, perché si fecero subito al largo.mo [sic] lo furono di poi con effetto dalle cannoniere del Colonnello iCafiero22.

«In tale occasione tutte le Autorità Politiche, e Militari si prestarono con massime entusiasmo insieme alle Popolazioni per l’arresto di quella comitiva, ed ogni disposizione data in regola, per rimettere la Popolazione nel buon ordine, e per assicurare i Prigionieri nel suddetto Castello, facen­dosi andare anche colà un rinforzo di truppa, sicché tale avvenimento non produsse la minima agitazione in quei luoghi della Provincia, dove si sparse subito la notizia, e dice l’Intendente Petroni, che anzi, che alterare in minima parte lo spirito pubblico, fu questo confermato, e fatto meglio conoscere al favor mio.

«Lo stesso Petroni encomia l’attaccamento a me di quelle Popolazioni, come loro legittimo Sovrano, e particolarmente quella del Pizzo, ove tutti gli Impiegati si sono distinti»23.

13 Ottobre 1815

«La mattina dei 13 sud.to ricevei altri rapporti fatti da Nunziante a Medici dal Pizzo in data degli 8 e 9 8bre. Col primo assicurava Nunziante di essere in suo potere Murat, dicendo, che colui non era più in stato di poterci nuocere.

«Col secondo rapporto, ripetè esso Nunziante, che egli, ed i suoi ufficiali hanno la cura di guardarlo a vista, come anche li altri Prigionieri, de’ quali prendeva il costituto, che poi avrebbe rimesso ultimato.

«Circa l’arresto di Murat, e i suoi riferisce, che una Scorridora ed un Bove portaron coloro sulla spiaggia del Pizzo, e che in una Lancia scesero a terra senza opposizione con num.° trenta Individui incluso Murat, il quale cammin facendo andava accarezzando le Persone, che incontrava, dicendoli «Io sono il vostro Re Gioacchino Murat, dovete conoscermi» [ed é questa la versione esatta].

«Allora la Popolazione si pose in arme, sicché Murat con i suoi preci­pitandosi per dirupi fuggivarfo verso la spiaggia per guadagnare una Lancia, che era a terra, ma i loro sforzi furono vani. Il fuoco degli abitanti gli inseguì, ammazzarono il Capitano Garnier [così, invece di Pernice] del seguito di Murat, e otto altri furono feriti. Murat con tutti i suoi si difesero con pistole, e sciable, ma furono soprafatti dal Popolo, e tutti maltrattati a colpi di Bastone, e Pugni, da’ quali non fu escluso il detto Murat; finalmente furono arrestati, e condotti nel Forte del Pizzo.

«Lo stesso Nunziante encomia la popolazione di quel comune, e tutte le Autorità Politiche, e Militari per un simile atto, che formerà la gloria di coloro.

«Fra’ i concorrenti a tale arresto, si trovò al Pizzo di passaggio il Capitano Trentacapilli, oggi addetto alla Giandermeria. Questi tolse le Carti di Murat, che indossava, ed una ciappa di brillanti, che portava al Cappello.

«Tali Carte non avendole il Trentacapilli consegnate a Nunziante, come sarebbe stato di suo dovere, per mezzo del Cancelliere le ha fatte a me pervenire, meno che una che dice voler portare di persona insieme alla Ciappa. L’essenziale di quelle Carte, sono un Passaporto scritto in tedesco spedito da Parigi in data de’ 7 7bre 1815, ed intestato al Duca di Lipona per condursi a Trieste in unione del suo seguito, firmato dall’Incaricato di Vienna a Parigi, il Duca M. Meru. E.E. Hofrath ed al lato sinistro, signato Metternig [sic]. Un Borro di Decreti in N” 20 articoli, postigliato di carattere di Murat, dal primo de’ quali si rileva l’intenzione di porre la costituzione, appena gli fusse riuscito di usurpare di nuovo il Regno di Napoli, e tutto il dippiù contiene delle disposizioni a favore di coloro del suo partito, e molte contra i fedeli miei sudditi.

«Un proclama stampato con la data in bianco, ma segnato… Ottobre 1815, che formato si vede apposta per pubblicarlo all’ingresso di Murat in questo Regno.

«E finalmente un altro foglio stampato, ove si vede trascritta la lettera, che io feci al Generale Tedesco Barone Bianchi, allorquando lo creai Duca di Casalanza, ed in seguito vi si legge un infame confutazione, che fa orrore, alla quale si da per titolo = risposta alla sopraccennata lettera, o sia grido di vendetta di ogni vero Napolitano.

«La mattina del 13 succitato, dopo mezzo giorno, altro rapporto a me direttamente pervenne da Nunziante scritto in data de’ 10 ottobre dal Pizzo, che mi portò il Ten.te Colonnello Marsiglio [sic] spedito da esso Nunziante, costui mi confermò a voce tutto ciò, che di sopra ho detto, e mi assicurò che nulla vi era da temere intorno alla sicurezza di quel Prigioniere [sic], e suoi seguaci.

«Esso Marsiglia mi presentò una Bandiera tricolore, che indossava Murat a guisa di Fascia, un Frustino con stile dentro, una Lettera dello stesso Murat a me diretta, ed una, che egli scriveva a sua moglie in Austria. Sensibile mi fu il vedere quella lettera, che principia = Monsieur moti Frère e finisce Le bon Frère G.N. [sic]; nella sopraccarta poi = A Sa Majesté le Roi Ferdinand = du Roi Joichin [sic].

«Quelle espressioni, e quella derisione non poco mi alterarono, niente però circa il contenuto della Lettera, la quale non esagera, che mendicati pretesti, e dimostra la sciochezza de’ suoi sentimenti»28.

Questo documento — non datato, ma redatto personalmente da Re Ferdinan-do tra l’il ed il 13 Ottobre, come si rileva dal suo stesso contesto — é di enorme importanza.

Ne esistono due soli esemplari: II primo, conservato nel Fascio 315, fogli 61 e segg., é una minuta originale, scritta nella prima metà, sotto dettatura, da un amanuense (Frilli?), mentre nella seconda metà — e cioè dalle parole «Ieri mattina alle ore sette ricevei i rapporti… ecc», fino alla fine — appare di pugno dello stesso Ferdinando, che ha introdotto personalmente, con la sua inconfondibile grafia, delle correzioni ed aggiunte autografe anche nella prima parte.

Il secondo esemplare, di assai più facile lettura, é contenuto invece nel Fascio 623, fogli 1-6, dai quali l’ho riprodotto. Esso é infatti la copia fedele dell’altro, che può essere considerato una minuta.

Il contenuto, abbastanza obbiettivo, registra — in base ai rapporti ricevuti — tutti gli avvenimenti succedutisi fino all’arrivo del Colonnello Marsiglia, la mattina del 13 Ottobre. Non accenna quindi né al processo né alla sentenza, che risultano invece dalla Relazione dello sbarro, riportata sotto il numero seguente).

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 622, fogli 3-5:RE FERDINANDO:

«RELAZIONE DELLO SBARCO FATTO DA MURAT E DAI SUOI SEGUACI SULLA SPIAGGIA DEL PIZZO IN CALABRIA, E DEI FATTI SE­GUITI FINO ALLA SUA MORTE»

«Verso le ore 10 della mattina degli 8 Ottobre si avvicinarono alla sottoposta Marina del Pizzo due barche con 30 persone armate di fucili e di pistole. Di queste due barche, una era una Scorridora, ed un’altra di quellasorta che dicesi Bove. Una lancia mise a terra senza opposizione tutti gli Individui registrati nella nota N.” 1. i quali senza presentarsi né alla Sanità, né alle autorità costituite discesero a terra con una celerità incredibile, e si diressero verso la piazza pubblica, dove Murat proclamava sé stesso Re delle due Sicilie, dicendo: Io sono il vostro Re Gioacchino Murat dovreste cono­scermi, e prestare a me ubbidienza: Voi a me dovete ubbidire, e non a Ferdinando IV [versione falsa].

«La popolazione si mise in arme, e cominciò ad inseguirli; ma eglino vedendosi alle strette, si precipitarono per dirupi alla spiaggia, verso la quale si diresse il fuoco degli abitanti. Allora Murat seguito da pochi compagni, avendo ritrovato ivi a caso un battello ch’era incagliato a terra, procurò per gettarlo a mare e fuggire, ma i loro sforzi furono vani, perché sorpreso dalla gente che vi accorse, furono tutti arrestati. Il Capitano Pernice del seguito di Murat rimase morto ed otto feriti, come dal notamento n” 2.

«In tale incontro Murat, ed i suoi procurarono di difendersi con pistole e con sciable [sic], ma sopraffatto dal numero, e maltrattati con colpi di bastone, e di pugni dai quali non andò esente lo stesso Murat, furono finalmente arrestati come si è detto, e condotti nel Forte del Pizzo […J»79.

Si avrà modo di vedere in seguito anche quanto scriveva di suo pugno, su questo stesso argomento, Re Ferdinando in persona.

«Si é poi saputo che Murat nel di 7 del corrente ottobre avea fatti dei tentativi di sbarcare nella Marina di S. Lucido, e che inseguito dalla pubblica forza, fu costretto a fuggire, lasciando sul lido due del suo seguito.

«Il Capitano Trentacapilli, che con altri suoi Paesani fu uno dei primi ad arrestare Murat, gli prese tutte le carte che egli aveva preso di se, ed unitamente alla ciappa di brillanti del valore di 100 Luigi l’uno, le spedi a S.M. in Napoli. Si trovò anche una bandiera tricolore senza l’asta.

«Intanto il Comandante costiero della Flottiglia prese nelle acque di Palinuro due altre barche, ove eranvi a bordo 42 Uomini Corsi, i quali egualmente che i trasporti appartenevano alla nuova armata di Murat.

«Essendo egli arrestato consegnò al Generale Nunziante, che tenealo in custo­dia, una lettera suggellata diretta a S.M., ed un’altra aperta all’indirizzo della sua moglie, le quali dal detto Generale per mezzo del Ten.te col.lo Marsiglia furono spedite in Napoli alla M.S.

«Qui convien sapere che [f. 4 retro] Murat, essendo interrogato su’ i diversi fatti in quistione, volle sostenere la qualità immaginaria di Re delle due Sicilie, non volendo sottomettersi alle dimande, ma rispondendo con una lettera, che come si é detto fu rimessa a S.M.

«Dalle carte formate, e dagli interrogatori dei prigionieri, si rileva ch’essi partiti il giorno 28 di Settembre dalla Corsica, fecero rotta per questi mari. Cercavano essi di colorire questa criminosa missione, dichiarando che per bisogno di viveri, di acqua, e per noleggiare un miglior bastimento, erano stati obbligati di approdare in quella spiaggia. La quale spiritosa invenzione viene ad evidenza smentita dalla circostanza suddetta, vale a dire, che lungi dal presentarsi alla Deputazione di Salute, o dirigersi alle autorità del Paese, com’era di dovere, usarono tutta l’arte per sollevare il Popolo in loro favore. Ciò si conferma maggiormente dai decreti dati in Ajaccio ai 25 e 27 di Settembre, co’ quali assumendo abusivamente il titolo di Re delle due Sicilie, si promise di dare onori e graduazioni agli uffiziali che lo seguivano. Il borro di una lunga lettera scrittagli da una persona ignota, fa chiaramente scorgere la sua premura di fare un passo disperato. Con la medesima gli si davano delle speranze per ricuperare il Regno, gli si asseriva dal perfido corrispondente, che i popoli l’atten­devano colle braccia aperte, e che un solo Reggimento [f. 4 retro] bastava per appagare i suoi voti.

«È da notarsi la costanza di Murat nel sostenere ch’egli era diretto per l’Austria, dove potea recarsi in conseguenza di passaporto ottenuto dalle Alte Potenze Alleate, e che il suo disbarco era stato effetto del bisogno che avea dei viveri, come si é già notato.

«Murat, ed i suoi prigionieri sono stati trattati con tutta decenza, le Calabrie sono tranquille, e l’esultanza di gioia si legge sul volto di tutti per questo felice avvenimento.

«In seguito dei qui riferiti fatti pervenne a S.M. in Napoli per mezzo di Telegrafo la notizia dell’arresto di Murat nel modo già descritto, e la M.S., avendo subito fatto radunare il Consiglio di Stato, fu dal medesimo risoluto di doversi spedire senza indugio i seguenti ordini al Generale Nunziante, che custodiva nel Forte del Pizzo Murat coi suoi seguaci. 1″ Riunisse un Consiglio di guerra o sia Commissione Militare per giudicarlo come pubblico Nemico; 2″ Fatta la sentenza coll’intervallo di una quarto d’ora per la preparazione della Religione, si proceda all’esecuzione. 3″ Per i suoi seguaci, quelli che sono sudditi del Re Napoletani o Siciliani si giudichino nell’istesso modo, e si passi all’esecuzione della sentenza anche nell’intervallo di un quarto d’ora. 4″ II Generale Comandante é responsabile dell’e­secuzione. 5″ Per i seguaci [f. 5] Esteri, si tengano custoditi vita per vita, e si aspettino gli ordini ulteriori. Napoli 10 ottobre 1815 alle ore 9 1/4.

«In conseguenza di tali ordini fu radunata la Commissione Militare nel Forte del Pizzo alle ore 10 antimeridiane del giorno 13 di questo mese di Ottobre; e dopo di essersi fatta la lettura delle Carte esistenti nel processo, dopo essersi intesi i testimoni, e l’avvocato del giudicando, fu deciso con unanimità di voti, che Murat fosse condannato alla pena di morte colla confiscazione dei suoi beni. Questa sentenza fu eseguita alle ore 5 pomeridiane del predetto giorno.

«Appena gli fu comunicata la sentenza disse, che non potea sfuggire dalla giustizia, ma che il suo sangue sarebbe stato vendicato. Si condusse al luogo destinato del tutto intrepido coll’orologio alla mano, ov’era il ritratto della sua moglie, e lo stringeva al petto: Indi scrisse una lettera suggellata alla moglie medesima; regalò l’orologio all’Ufficiale Comandante la Truppa, ed imposegli di far pervenire la lettera alla sua moglie. Ciò fatto si pose in piedi avanti la Truppa, e col braccio alzato disse: Bravi soldati coraggio, ecco tirate.

«Fu posto il suo cadavere in una Cassa, e fu mandato alla Chiesa di S. Giorgio: chiesa ch’egli in tempo del suo Regno avea fatta riattare a sue spese, come se avesse dovuta servire di sua tomba.

«Dal costituto che si farà dei Prigionieri, si potranno avere maggiori [f. 5 retro] schiarimenti su tale affare.

«È necessario di soggiungere, che Murat chiamato alla Commissione, rispose che i suoi pari non facevano costituto, mentre egli o dovevasi riguardare come Re, e dovea dipendere dall’Alto Congresso, o come Generale, e la Commissione dovea essere di Generale. Le sue proteste non furono valevoli, e si passò alla sentenza di morte come rivoluzionario».

[Senza data né firma].

(Si tratta del medesimo documento che la Valente (p. 408) definisce Nota alle Potenze straniere. Esso, compilato certamente su direttive dello stesso Ferdinando IV — e forse sotto sua dettatura — é stato probabilmente ricavato dal suo Cenno istorico sulla presa di Murat, che, come ho già detto (v. documento precedente) é certamente frutto della sua personale redazione.

Spetta naturalmente ai filologi stabilire i rapporti intercorrenti tra i due docu­menti.

Va rilevato che, mentre il Cenno istorico registra soltanto gli avvenimenti svoltisi al Pizzo fino al 10 Ottobre, la Relazione prosegue invece fino alla fucilazione di Murat.

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 200, foglio 48:

RE FERDINANDO ALL’IMPERATORE D’AUSTRIA:

17 Ottobre 1815, Ferdinando scriveva nei termini seguenti all’Imperatore d’Austria: «Per non frastornare Vostra Maestà delle sue grandi ed utili occupa­zioni, ho ordinato che si mandasse col presente corriere al suo Ministro Principe di Metternich un racconto preciso di quanto si é passato in Calabria dallo sbarco di Murat fino all’esecuzione della sua condanna, fra poco farò passare alla cognizione di Vostra Maestà tutte le carte che relative a que­st’affare sono pervenute nelle mani dei miei Ministri»22.

La lettera cosi conclude: «II vostro buono fratello e suocero che vi ama teneramente Ferdinando»21.    ,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 141:

FRANCESCO PRINCIPE EREDITARIO (Lettere al Re):

(Le lettere n° 55 e 56, entrambe del 12 Ottobre, sono state già riprodotte a pag. 71-72 del volume; e le successive n° 57 e 58, entrambe in data 16 Ottobre, sono state riprodotte a pag. 107).

(V. quanto ho già scritto rispetto alle lettere di Re Ferdinando, sotto il n” 18. Nel fascio 141 si trovano dunque tutti gli originali. Viceversa, nell’omologo 389 si trovano solo le minute di queste lettere, e gli originali di quelle di Ferdinando.

Le lettere del Principe ereditario Francesco cominciano tutte con il vocativo «Mio carissimo papa», chiudono invariabilmente con un «Vostro obbedientissimo e riconsc.te figlio Francesco» e rivelano anch’essa la deficiente cultura dello scrivente, la quale si riscontra, del resto, in tutti i personaggi dell’epoca.

Ampi sono gli squarci adulatori nei confronti del padre).

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 561:

FRANCESCO PRINCIPE EREDITARIO (Diario): foglio 1: «In nome della SS. Trinità» foglio 2: «Giornale del 1815».

(Nulla di interessante ai giorni 9, 10 ed 11 Ottobre. Le registrazioni relative al giorno 12 sono state da me riportate a pag. 72 di questo volume. Ecco ora le registrazioni relative alle giornate del 12, 13, 14 e 15;)

«12 Alzatomi scrissi venne la notizia dell’arresto di Murat al Pizzo con 20 uomini di seguito pranzammo poi alla Masseria spedì la Posta scrivendo 1 al Re 1 ad Amelia 1 al Duca d’Orleans 1 Circello 1 a Medici 1 alla Reg. di Sardegna 1 a S… […] 1 a Nicolino.ed al letto.

« 13 Alzatomi terminai le lettere del Vacchetto [?] e 1 a Mimi 1 ad Ugo 1 allo zio Antonio 1 a Buccino ed indi a Naterno [?] a vedere la Robba per […?] poi le udienze indi viddi i Ministri Staiti e […?] per il Denaro per la marina tornai [due parole

illegibili] e poi usci con la sposa verso l’Olivuzza e viddi la Casa del Crocifisso e poi scrissi ed al letto.

« 14 Alzatomi Consiglio per parlare delle Proviste dei giudici si ordinò la mappa per S.M. poi pranzammo venne la posta e ricevei dal Re 1 di Circello 1 Rap. di S. Clair 1 di zio Antonio 1 di Carlo IV 1 della Reg. Luisa 1 di Francesco Antonio poi a Palazzo al Circolo per la Gala di Ferdinando VII udi al Teatro l’Italiana in Algieri ed al letto».

(La registrazione relativa alla giornata del 16 ottobre é stata riportata a pag. 107 del volume. Null’altro, per ciò che riguarda Murat, nelle annotazioni dai giorni seguenti.

Il Diario del Principe ereditario Francesco, Duca di Calabria, é stato da lui tenuto, quasi ininterrottamente, dal 1806 al 1830, ed occupa i Fasci dal 554 al 580 dell’Archivio Barbone. Il fascio 561 contiene il Diario relativo al 1815.

Ogni quaderno del Diario comincia con l’allocuzione «In nome della SS. Trinità» e le relative annotazioni seguono (suggerimento paterno?) lo stesso sistema di quello del Re. Ma Francesco non dimostra la predilezione paterna per le annota­zioni meteorologiche. Il suo stile é sciatto, pedestre e sgrammaticato. Numerosi gli errori di ortografia.

Si tratta, insomma, di annotazioni mnemoniche da servire soltanto per uso strettamente personale).

  1. ARCHIVIO BORSONE, Fascio 656, foglio 96:

FRILLI FRANCESCO al Ministro De Medici (10 Ottobre 1815):

«Eccellentissimo Sig.

«Sua Maestà appena svegliata ha ricevuto f… ecc.].

[Lettera già riportata nel testo, a pag. 66. II testo della lettera così chiude:] Dell’eccellenza vostra «Dev.mo obb. [parola illegibile] «Francesco Prilli» «Portici li 10 ottobre 1815» «Ecc.mo Sig. Cav. D. Luigi de Medici Sede»

(Originale autografo)

(II Prilli era uno dei Segretari del re Ferdinando)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 482:

MATTEI, Comandante della Piazza, al Generale Nunziante (8 Ottobre

1815)

«Pizzo 8 Ottobre 1815

‘[Omissis] ed avendo ordinato ad un mio uffiziale di miscitarlo, questi gli trovò addosso alcune carte, ed un indirizzo di brillanti di sommo valore, che capricciosa­mente si pigliò il Sig. Trentacapilli, cap.no della Gend.a di Cosenza, che qui si trova. Questo uffiziale, senza per niente appartenere, incominciò a dominare nel Castello, di modo che ho lasciato la miscita a que’ del seguito di Murat, per dare parte a voi.

«Io in questo punto, Signor Generale, vado a partire per Monteleone onde personalm.te darne notizia ai Sig.ri Intend.te e Com.te di Prov.a».

[Omissis]

(Trattasi del rapporto originale, diretto al Generale Nunziante).

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, fogli 109-110:MURAT GIOACCHINO a Carolina (9 Ottobre 1815):

«Ma chère Caroline,

« J’avais enfin obtenu un Passeport pour l’Austriche, et j’esperais d’ètre reuni a ma malheureuse Famille dans le courant du mois, mais forcé de relacher au Pizzo pour m’y procurer un plus gros batiment, je viens d’etre arreté avec les officiers de mon escorte.

«J’espère de la justice du Governement de Naples, que mes Passeports me seront restituis, et qu’il me sera permis de continuer ma route. Voila bien long temps, mon an ie, que nous sommes separés, fasse le Ciel que nous soyons bientòt reunis. Je suis sans aucune nouvelle de ma famille. Embrasse nos enfans, renouvelle tes instances pour notre reunion. Je me porte bien; ne t’inquiete pas. Dieu qui a permis notre separation, permettra que nous nous reunissons encore. Adieu je t’embrasse bien tendrement, ainsi que nos chers et bons Enfans

«Ton tendre et affectionné ami

Joachim

«Du fort du Pizzo le 9 Ottobre 1815»

(Originale autografo)

A foglio 111 é conservata la busta originale, del seguente tenore:

«A’ S.M. la Reine Caroline «En Autriche «Le roi Joachim»

(Originale autografo)

(La lettera, come é provato dal fatto che esiste in originale nc\[‘Archivio Barbone, non fu mai recapitata. Si tratta proprio di quella che, sequestrata, non era mai stata rinvenuta dagli altri storiografi).

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 104:

MURAT GIOACCHINO a Re Ferdinando (10 Ottobre 1815)

«Monsieur mon frère,

«Je viens d’ètre arreté au Pizzo contre le droit des gens; j’y ai couru le danger de perdre la vie, ainsi que mes officiers. J’y étais venu sous pavillon Francis et j’étais muni d’un passaport autrichien et anglais. Je demande à votre Majesté la restitution de mon passaport, et j’attends de son obligeance de me faire fournir un batiment de l’Etat pour me rendre à Trieste. Je laisse à sa justice la punition des coupables qui m’onr si indignement outragé. Je ne parlerai pas à V.M. des motifs qui m’avaient conduit au Pizzo, elle les trouvera dans la lettre que j’ai écrite au Marechal de Camp Nunziante.

«Il me tarde de revoir ma famille, qui a besoin de consolation au sein de la quelle j’espère de trouver l’oubli de mes malheurs.

«Sire, je suis de votre majesté, le bon frère

«Pizzo le 10 Ottobre 1815

Joachim Napoléon».

«A Sa Majesté

«Le Roi Ferdinand»

(E affascicolata, a foglio 106 del Fascio, anche la busta che porta la vistosa impronta, in ceralacca rossa, del sigillo di Murat con leffigie di Carolina.

Tale impronta, che misura mm 25 x 28, riproduce il profilo destro di un volto femminile, con i capelli raccolti in uno chignon neo-classico. La figura non porta né orecchini, né collane. Ho riprodotto la lettera, già pubblicata dalla Valente (p. 413 n° 2 del suo volume), in quanto nell’originale autografo da me esaminato non figurano affatto, tra la parola «trouver» e l’«oubli» del penultimo rigo, le parole «moi mème», registrate dalla Valente.

É evidente, in questo documento di Murat, l’ingenuità di non essersi ancora reso conto della propria sorte, che intuirà soltanto la mattina del 13).

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, Foglio 88:

NUNZIANTE VITO al Ministro De Medici (9 Ottobre 1815):

«[Omissis] più prese al Gen.le Murat la ciappa del cappello ch’era di brillanti. Ei dice che questi al numero di 12 l’ha rimessi in Napoli; ma detto Gen.le mi assicura ch’era formata da 22 brillanti valsenti 100 luigi per cadauno».

(Trattasi di una copia del rapporto.

Il Generale Vito Nunziante, Maresciallo di Campo comandante la 5a Divisione territoriale, commissario civile per le Calabrie, e detentorc deWAlter Ego rispetto all’affare Murat, fu uno dei più importanti protagonisti della repressione dello sbarco del Pizzo; e la sua serietà é comprovata dalla sua stessa posizione nel dramma: Filoborbonico ed antagonista di Murat, fu correttissimo e generoso nei suoi con-■’ronti e dibattuto continuamente tra la propria indole pietosa ed il dovere da compiere.

Nello stile rivela anche lui le solite deficienze grammaticali ed ortografiche di tutti i personaggi dell’epoca).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE. Fascio 623, Foglio 96:

NUNZIANTE VITO A. S.M. il Re Ferdinando (10 Ottobre 1815) «S.R.M.

«Sire

«In seguito dell’arresto del Generale Murat e suo seguito, che ho rapportato a V.R. Maestà per il canale del suo Augusto figlio il Principe D. Leopoldo, spedisco in Napoli il Ten.e Col.o Marsiglia ufficiale addetto al mio stato maggiore, con tutti i costituti formati da me, con l’assistenza del Vostro Regio Procuratore Generale presso la Corte criminale di Calabria Ultra, e una lettera scrittami da Murat in risposta alle domande da me fattole. Di più una lettera, che Murat scrisse alla sua moglie aperta, ed una per Vostra Real Maestà, della quale ignoro il contenuto. Il detto Ten.e Colonnello metterà ai Piedi di V.R. Maestà una Bandiera tre colore, che l’anzidetto Generale aveva seco condotta, e potrà darle tutti i minuti dettagli, che hanno accompagnato quest’avvenimento. Se la M.V. avrà la clemenza di sentirlo, e di accogliere le mie suppliche, che ardisco raccomandarlo, sarà sempre un effetto della Sua Real Clemenza.

«Postrato ai Piedi del Vostro Real Trono passo umilmente a rassegnarmi

«Di Vostra Real Maestà

Umiliss.mo e fedel.mo suddito

Vito Nupziante

«Pizzo 10 8bre 1815»

(Sembra si tratti di un originale autografo.

Si coglie a piene mani, nel documento, il servilismo e la piaggeria che contrad­distingue del resto tutti i personaggi del tempo).

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 471:

NUNZIANTE VITO (processo verbale dell’I 1 Ottobre 1815):

«Oggi gli undici ottobre mille ottocento e quindici alle ore sette antemeridiane: nel Castello del Pizzo

«II Sig.r Generale Nunziante Comandante la 5″ Divisione territoriale, Com­missario civile, incaricato dell’alta Polizia nelle Calabrie, dopo aver con l’assistenza del Sig.r La Camera Regio Proc.re Generale presso la Corte Criminale di Calabria ultra, sperite ed esaurite tutte le possibili indagini su lo straordinario avvenimento del disbarco seguito gli otto corr.te in q.ta spiaggia da Gioacchino Murat, e ventinove altri suoi compagni.

«Considerando che opportune dilucidazioni si sono acquistate mediante gli interrogatori del Murat e suoi, Voi.me 2″, e che le indagini avrebbonsi potuto ancora più estendere, e precisare, se si fossero-ayute presenti le Carte più essenziali, che nel momento dell’arresto, tolte a Murat, ed “a’ suoi, furon portate nelle mani di D.n

Gregorio Trentacapilli di qui Capitano di gendarmeria della Provincia diCosenza, il quale non le ha trasmesse ad esso Sig.r Generale, che tantosto qui si trasferì.

Considerando che nella mancanza di q.ti mezzi il Sig.r Generale pubblicò un ordine di esibirglisi subito le carte in quistione da chiunque ne fosse il detentorc che, a tal modo, tra quelle portategli da due persone si sono rinvenuti 1″ un borro di lettera diretta a Murat da un ignoto con de’ ragguagli sullo stato del Regno, dopo cessata l’occupazione militare, e con l’invito d’invaderlo di nuovo. 2″ De’ così detti decreti [omissisl

«Considerando, che gli ordini anzidetti non hanno scosso il Capitano Trenta­capilli sud.to a consegnare le Carte che detiene [omissis]

«Ha deliberato di rassegnare a S.M. l’incartamento che si trova formato, e di attendere nel dippiù le sue Sovrane Determinazioni

«M.llo di Campo

Nunziante»

(Originale non autografo. È originale solo la firma).

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 473:

NUNZIANTE VITO al Principe Leopoldo (senza data)

«II Maresciallo di Campo Nunziante Comandante la 5a Divisione territoriale, e Commissario civile delle Calabrie

«A S.A. Reale il principe D. Leopoldo Presidente del Supr. Consiglio di guerra Napoli

«Altezza Reale,

Fra le tante cose che mi occupano crederei mancare al mio dovere se non consacrassi qualche momento a raccomandare a V.a. R.e Altezza tutti quelli che han concorso per lo arresto del Generale Murat, e gente di seguito: non che gli altri che instancabili, e vigili gelosamente li custodiscono.

«La popolazione del Pizzo é degna dei più alti elogi:

[Omissis]

«Le autorità tutte di questo Comune han dato saggio di particolare attività.

«L’Intendente della Provincia, Sig. Petroni, si é prestato immantinenti a tutte le mie richieste [Omissis]

«I militari che ho l’onore di comandare [omissis]

«Raccomando a V.A.R. e il Comandante dell’Artiglieria di montagna Ten.te Mortellaro, all’aiutante dell’istessa arma Ten.te [nome illegibile] Gallo. L’aiutante del treno [?] Sig. Lamanna.

«Debbo encomiare il Capo dello Stato Magg.e Ten.te Colon.lo Marsiglia, Ten.e Bottazzi, ed alfiere Roussell.

[Omissis]

«Gli uffiz.li del Terzo Reg.to Estero accorsi subito da Monteleone furono il Capitano Stratti, S. Tenente Imbardelli, alfiere Federico, e Porta Bandiera Massera-no. Da Tropea accorsero con eguai celerità i distaccam.ti comandati dall’alfiere Farina, e Cadetti Curion ed A. [… resto del nome illegibile] del 3″ Reg.o Estero. Sono spostaneamente venuti in supplenza del servizio da Monteleone il Ten.e Lentini, Saggio e Nini, ed il Cadetto Necchi.

«L’impiegato telegrafico Sig.r Virgilio [omissis]

«Particolar considerazione merita il Regio Procuratore Gen.le presso la Corte Criminale di Calab.a Ultra [ne manca il nome].

[Omissis]

«Non ostante l’irregolarità commessa (come dalle carte rilevasi) debbo dire che il Capitano della Gendarmeria Trentacapilli (che non so come qui si ritrovava) é concorso colla popolazione all’arresto del G.le Murat, e seguito.

«Gli uffiz.li Legionari egualmente, e si é distinto il Comand.e dal Distaccam.to della Scolta venuto da Monteleone Aiutante Casaburi.

«Tanto dovevo umiliare a V.A.R.e prima di contestarle gli omaggi del mio profondis.o rispetto

« Umilis.mo e fedelis.mo suddito

Vito Nunziante»

(Originale autografo, privo di data, ma certamente anteriore al 13 Ottobre)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 165:

NUNZIANTE VITO a Re Ferdinando (13 Ottobre 1815) «S.R. Maestà

«Sire

«Ho scritto al suo Ministro della Polizia Generale quanto siegue.

«In seguito degli ordini soscritti alle ore 9 e 1/4 del 10 corrente mese da V.E., e da’ suoi Colleghi i Sig.ri Marchesi [sic] di Circelli, [sic] e Marchese Tommaso, ho fatto subito convocare una Commissione Militare, ch’é stata composta dal Sig. Gius.e Fasulo Aiutante Generale, e Capo dello Stato Maggiore di questa Divisione, Presi­dente, Colon.o Scarfaro, Ten.e Colo Natoli, Ten.e Col.o Lanzetti, Capitano Can-nilli, Cap.no De Vouge, Ten.e Mortellari, Giudici, Froia Ten.te Relatore, La Camera R.o Proc.e Generale presso la Corte Criminale assestiti da Paparossi Seg.o.

«La Commissione serbate tutte le regole, ed inteso l’avv.to ufficioso di Gio-vacchino Murat, ha dichiarato massimamente costui pubblico nemico, e quindi colpevole della pena di morte con la confiscazione de’ beni. Questa condanna é stata eseguita, e mi affretto di renderne conto a V.E., riserbandomi di trasmetterla in esemplare dopo che sarà stata distesa nelle forme convenienti.

«Ch*e quanto per il momento devo umiliare a V.R.M. nell’atto che passo umilmente a rassegnarmi.

«Di V.R.M. Pizzo 13 Ottobre 1815

«Umilis.mo, e fedelissimo

Suddito                                                               _ . .    .            .

Vito Nunziante»                                                (Ong.nale autografo

Si tratta del rapporto inviato a Re Ferdinando con il corriere Ferreri: (v. retro, p. 105).

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 646:
    NUNZIANTE VITO a DE MEDICI LUIGI (19 Ottobre 1815)

«Ecc.mo Sigqore

«Riservata

«II telegrafo questa mattina ha principiato il discorso [… ecc]

[II testo della lettera é stato già riportato nel testo, a pag. 110-111. La lettera così chiude:]

«Sono con il massimo profondo rispetto

«Di V.E.

Monteleone 19 Ottobre 1815

Div. ob.mo fed.le osseq.mo

Vito Nunziante

«S.E. il Sig. Medici Ministro della Polizia Gen.le Napoli»

(Originale autografo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 651:
    NUNZIANTE VITO a Re Ferdinando (26 Ottobre 1815)

«S.R.M.

«Sire

«D giorno 18 il telegrafo mi ha comunicato un’ordine di V.R.M. [… ecc.]»

[Il testo della lettera é già stato pubblicato a pag. 111. La lettera così chiude:] «Di vostra Real Maestà Monteleone 26 Ottobre 1815 Umilissimo e fedelissimo suddito Vito Nunziante»

(Autografo originale. Sul documento, tra «S.R.M.» e «Sire» vi é la seguente annotazione: «Si passi al Ministro di Polizia», la quale é probabilmente di pugno del Re, ovvero del Segretario Frilli).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, fogli 428-429:
    NUNZIANTE VITO A S.A.R. il Principe Leopoldo (27 Ottobre 1815)

«5′1 Divisione Militare

N” 320

Oggetto

Insubordin.ne del Capitano

di Gendarmeria Trentacapilli

Dal Quartiere Generale di Monteleone li 27 di Ottobre 1815

II Generale Comandante la 5:> Divisione Territoriale, Commissario Civile, Incaricato dell’Alta Polizia coWalter ego.

A S.A Reale

il Principe Leopoldo Presidente del Supremo Consiglio di guerra

«Altezza Reale

«Avendo la mia moderaz.ne oltrepassati i limiti, trascurerei i doveri più intrin­seci se volessi continuarne l’esercizio; e I’insubordinaz.ne del Capitano di gendar­meria Trentacapilli, sentirebbe d’insulto al Governo.

«Ecco perché vengo costretto di manifestare quanto si passa sul suo conto, e che io ho taciuto fin qui non solo, avuto riguardo al felice avvenimento, ma dippiù l’ho raccomandato alle grazie di V.a A. Reale allorché le presentai la nota degli Uffiziali che si distinsero nel Pizzo.

«Sappia dunque V: A: Reale, che Trentacapilli Capitano della Gendarmeria di Calabria Citra ne venne al Pizzo senza permesso, od intelligenza del Comandante di quella Provincia, e senza che io ne fossi stato inteso com’era di dovere, non ostante la picciola distanza che si trascorre fra quella Comune, e la mia residenza.

«Avvenuto ad otto del corte il famoso disbarco del Generale Murat, e soci, egli avrebbe dovuto avvertirmene almeno, non potendo immagi-[f. 428 retro]nare in me di aver parte del guadagno. Ne fui informato invece dalle autorità del Paese. Quasiché fulmine mi portai colà poche ore dopo ch’era stato arrestato Murat, e soci. Trovai i detenuti nel Castello, che si dolevano di essere stati spogliati dei loro averi.

«Murat mi assicurò di più che il Trentacapilli gli aveva presi 22 grossi brillanti, i passaporti, e tutte le carte che tenea addosso. I Generali Francesi Franceschetti e Natali mi confermarono l’istesso, e parlarono pure degli oggetti a loro involati, e carte. Altri poi mi faceano conoscere, che il Trentacapilli, il meno che avea avuta parte nell’affare, avea raccolti i vantaggi con l’acquisto di molte armi tra q.ti la Spada, e pistole di Murat, ed altri oggetti. Io non mi incaricai di ciò, non ostante che tali materiali erano necessari all’ingenere, e solo le richiesi le carte indispensabili per l’istruzione del processo; e per dare qualche disposiz.ne che per esse potea divenir necessaria. Egli con sfacciataggine me li negò, affermando di averle rimesse a S.M. con assieme co’ brillanti poco dopo seguito l’arresto. Già io non le parlo delle irruenze e villanie esercitate dal Trentacapilli, dell’umiliaz.ne in cui gittò l’onorata divisa militare, e delle tante azioni criminose, che le fecero meritare l’indignazione della Truppa, e del pubblico; ma debbo manifestarle, ch’egli menti nell’asserire, che avea rimesse le carte.

«Io so, che un giorno dopo se li fece leggere, ed aggiustare da [f. 429] un tal Maggiorelli del Pizzo, mi ricordo pure che gliene replicai le richieste, ma inutilm.te. V: A: Reale conosce bene quanto sia stata criminosa q.a azione, e quale ferita ha ricevuto il processo per la mancanza di tali carte. Ogniuno sapea che U Trentacapilli avea avuto in mano il proclama, e ne avea voluto sapere dal Legitore il contenuto, ma la Commissione Militare era all’oscuro di tutto ciò, e di quanto si contenea nelle altre carte, che in 22 mazzetti egli spedì in Napoli il giorno 10 ottobre, e non prima. Il processo quindi per colpa di costui non presentava le luminose pruove del misfatto:

La Commissione si dovè interessare moltis.mo per rinvenire quelle necessarie: ed il pubblico non rimase interam.te convinto. Quale bella decisione migliore e ragionata avrebbe presentata la Commissione med.ma all’Europa? V: A: Reale ben lo com­prende, e converrà pure, che all’insubordin.ne ed indelicatezza di Trentacapilli si desse il [parola illegibilej. Ma q.a verità fu conosciuta dalla Commissione, e decise che per gli atti d’indelicatezza ed insubordinaz.ne che avea affermati, bisognava, che Trantacapilli ne desse conto. Me che scrisse, ed il mio dovere portava, che tale decisione la rinviassi alla Corte criminale per provvedere. Q.a non avrebbe dovuto [una parola illegibilej per punirlo. Le contraddiz.ni manifeste [altra parola illegibile] d’ignoranza mista con perfidia che si leggono nella dichiaraz.ne di Trentacapilli consegnata nel processo, Le ne davano ragione. Io spingendo più avanti la mode-raz.ne, non solo sospesi di dar sfogo alla dimanda della Commissione, ma dippiù pregai S: E: il Ministro della Polizia perché si fosse benignata per q.a sola volta compatirlo, con ricordargli i doveri annessi alla sua carica per non veder scomparire [idiotismo = far brutta figura] un arma destinata ad utili servizi.

«Mi lusingai, che q.i benefici avessero prodotto [f. 429 retro] l’effetto di divenir Trentacapilli meno insubordinato, giacché di cambiar cuore, e costume poco ci spero, ma mi sono ingannato. Egli invece senza rendersi al suo posto, e senza permesso mi si fa credere di essersi portato a Napoli forse per intrigare, e secondo le sue millanterie per offendere a delle persone, che avendo più di lui meritato, accusa per rei. Non dovendo io soffrire q.o nuovo atto d’insubordinaz.ne, che spaventa i Militari, lascio la moderaz.ne, e prego V: A: Reale di farmene rendere ragione, con Jarle più pronte, ed energiche disposiz.ne perché un tal’insolente sia posto al dovere li non più abusare, e di rispettare i superiori.

« Gradisca intanto V: A: Reale l’omaggio del mio più alto rispetto

«umils.mo e fedelis.mo suddito

il M.lo di Campo Nunziante»

(Originale autografo, su modulo a stampa di ufficio)

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, foglio 427:

NUNZIANTE VITO al Ministro De Medici (29 ottobre 1815)

«Ecc.mo Sig.re

«II Cap.no Trentacapilli Comandante la Gendarmeria della Prov.a di Calabria Citra, senza autoriz.ne del Comandante della Prov.a, ne mia [… ecc.]»

[Il testo della lettera é già stato da me riportato a pag. 125. Essa così conclude.]

«Sono con il solito umile rispetto «Di V.E. Monteleone 29 8bre 1815 Umilis.mo D.mo fed.le ossq.mo Vito Nunziante

 

«S.E. Cav.re D. Luigi De Medici

Segretario di Stato, Ministro della Polizia Generale

Napoli»

(Originale autografo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. ARCHIVIO BORSONE, Fascio 656, foglio 432:

NUNZIANTE VITO Al Ministro De Medici (1″ Novembre 1815)

«Ecc.mo Signore

«Avendo saputo i carichi che mi hanno voluto fare per l’ultimo affare di Murat, ho risposto a ogni articolo come potrà leggere nell’annesso foglio, che le umilio.

«Non avendo avuto che l’onore per guida mi é stato, e mi sarà facile di confutare qualunque calunia [sic] mi si volesse fare. Io sarò pienamente fortunato se V.E. facendo uso della sua somma bontà, che in tutti i tempi ha avuto per me, voglia avere la compiacenza di leggere l’annesso foglio, e formare il suo giudizio.

«Con il solito rispetto passo a rassegnarmi

«Di V.E. Monteleone primo 9mbre 1815

Umiliss.mo Div. fed.le Òssq.mo

Vito Nunziante

«Ecc.mo Sig.r Cav.re D. Luigi De Medici Ministro della Polizia Generale Napoli»

(Originale autografo: Trattasi della lettera di accompagnamento della memoria difensiva con cui Nunziante reagiva alle accuse mossegli da un suo avversario, che doveva essere certamente il Trentacapilli.

La memoria difensiva (che non riproduco) trovasi ai fogli 433-435 del medesi­mo Fascio. Essa é articolata in 7 punti, riflettenti specificamente le seguenti accuse:

1)     di aver voluto diminuire il merito del Trentacapilli negli eventi del Pizzo;

2)     di essere arrivato al Pizzo 10 ore dopo l’arresto di Murat;

3)     di essersi trovato a Tropea (anziqché a Monteleone) il giorno dello sbarco;

4)     di aver dato errate disposizioni circa gli spostamenti dell’Artiglieria da
montagna a Tropea;

5)     di aver spossessato il Trentacapilli dei gioielli e delle armi da lui sequestrate;

6)     di aver usato a Murat un trattamento di favore;

7)     di aver nominato come componenti della Commissione Militare ufficiali già
appartenenti all’Armata Napoletana di Murat).

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, fogli 128-132:

«AVVENIMENTI DEL FU GENERALE MURAT [corsivi originali]:

«[Foglio 129] Appena avvisato dello sbarco di Murat [Nunziante] ordinò al Comandante di Artig.a, ed al Comand.te della Truppa di seguirlo, ed Egli con un

Distaccammo di Cavalleria al galoppo si recò al Pizzo, ove rinvenne Murat, e il suo seguito arrestati. Nel vederlo Murat gli disse General Nunziante, so che siete un Uomo d’onore, lo ho fatto di tutto per avervi al mio [f. 129 retro] servizio. Non è stata mia colpa se non ho avuto il piacere di avervi. Replico voi siete un Uomo d’onore e perciò mi farete quel trattamento, che io avrei fatto al Re Ferdinando, se fosse caduto nelle mie mani. Nunziante gli rispose Generale. A questa parola stranizzò Murat, e gli fece riflettere ch’Egli era un Re riconosciuto da tutta l’Europa. Replicò Nunziante: Giammai dal mio Re, del quale per qualche tempo avete usurpato il Trono, e tanto meno da me, che per esser un Uomo d’onore, come vi é noto, l’ho seguito costante­mente. Persuadetevi perciò, che dandovi il titolo di Generale, é la più gran cosa che possa farvi. I Gen.li Francesi Franceschetti, e Natale, dissero allora, che la Nazione si era coperta di vergogna, nel metter le mani sacrileghe sopra di un Uomo che quattro mesi fa era il loro Re e che aveva formata la loro felicità. Il Generale Nunziante li lascia a tutti, e andiede a dare le disposiz.ni di sicurezza, che le circostanze del momento richiedevano.

«La mattina del giorno nove domandò a Murat in Iscritto le cose seguenti: 1″ Come vi trovate nel Castello del Pizzo detenuto? 2″ A qual’oggetto vi siete qui portati? 3″ Con quali compagni, e con quali mezzi? 4″ II vostro seguito era armato, o no? 5″ Da Dove, e in qual giorno siete partiti? 6″ Quali Carte, e quali oggetti portavate con voi?

7″ Antecedentemente a questa vostra venuta avete avuto Comunica.ne nel Regno, e con chi?

«Queste domande alterarono Murat, che disse, che con esse veniva offesa la sua dignità Reale, ma dietro discussioni, e premure, rispose a quesiti, con una lettera continente che dopo di aver ottenuto a Pariggi i Passaporti segnati da Metternich, e Stuard, si era nella notte de’ 21 scorso 7mbre imbarcato da Ajaccio per rendersi a Trieste alla sua Famiglia, seco conducendo i diversi Corsi, che si erano uniti a lui per essere impiegati dalTImperad. d’Austria: Che il tempo cattivo avea separato le Barche, per cui si dovè avvicinare alla Costa di Calabria, ove pensò di scendere al Pizzo per andare a Monteleone, a chiedere colà al Gen.le Nunziante un Passaporto per andarsene per terra fino a Crotone, ove avrebbe fatto andare le due Barche per imbarcarsi o ritrovare un legno più comodo per proseguire il viaggio. Queste ed altre simili cose insulse Egli disse, e poscia finì la sua lettera al Re, con pregare il Sig.re di tener nella Sua Santa guardia il Gen.le Nunziante. Essa lettera é stata rimessa a S.M. «In seguito si diede principio a prendere il Costituto de suoi Compagni al Num” di 28, che uniformemente assicurarono di esser partiti la notte de’ 27 Settemb.e ultimo da Ajaccio insieme a Murat per recarsi a Trieste, e parimente furono rimessi a S.M., con tutte le altre Carte che si rinvennero, consistenti in così detti Decreti della data de’ 25 e 27 Sett. ultimo, con i quali Murat da Ajaccio investendosi del titolo di Re della due Sicilie, conferiva Onori e promozioni al Ten Mortedo [sic], ed all’ucciso Capitano Pernice: Un Bozzo di lettere di sei fogli, e mezzo, per la quale un suo amico li faceva conoscere la situazione del Regno, assicurandolo ch’era da tutti [f. 130 retro] aspettato, lo provocava a venire, facendogli credere che alla semplice sua vista, tutti i popoli si univano a lui; parlandogli ancora di alcuni Napoletani che conservavano attaccamento per lui; ch’erano dolenti per la sua perdita, conchiudeva che con un Reggimento solo poteva conquistare il Regno.

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«Tutte queste Carte, di unita ad una Bandiera che Murat avea seco portata furono dal Gen.le Nunziante sul momento spediti a S.M. per mezzo del Tenente Colon.o Marsiglia aggiunti allo Stato Magg.e della 5a Divisione, essendosi l’altre Carte essenziali fra i quali i Passaporti di Murat, speditegli dal P.pe di Metternich e di Lord Stuard da Pariggi involati dal Capitano di Gendarmeria Trentacapilli, unita­mente a ventidue grossi Brillanti, così s’ignora il contenuto delle Carte, e quale uso se n’abbia fatto de’ Brillanti, non ostante che il Capitano Trentacapilli assicurò d’averli inviati sul momento a S.M. Per mancanza di tali oggetti non si potè formare a dovere il Processo, ed in conseguenza quelle misure che forse si avrebbero dovute prendere furono senza effetto». [Segue il passo riportato a pag. 58-59 di questo stesso volume, dopo il quale la narrazione così prosegue:]

«[f. 131 retro] La notte del 12= a 13. = Essendo arrivato l’ordine di farlo giudicare da una Commissione Militare come Pubblico nemico, il Generale Com.te diede delle disposizioni necessari, e la mattina seguente avendolo fatto separare dai due Generali suoi compagni, fece entrare nella sua Camera quattro Uffiziali, che gli annunziarono di dover Egli esser giudicato da una Commis.ne Militari [sic]. Da quel momento, fino alla Sua Morte altro non ha detto che le seguenti cose. Io giudicato da una Commis.ne Militare! E che ‘sono un Brigante lo!… Eh!… Son morto. Com’é possibile esser io giudicato da una Commis.e Militare? Il Governo vuoi ch’io muora; morirò sicuramente.

  • Essendogli detto ch’Egli non sapeva ancora cosa avrebbe deciso la Commis.e.Rispose:A me volete imparare cosa è Commissione Militare? Queste sono cause di morte. Ma questo é un assassinio? Non é una Commis.ne competente per me. Io non temo la morte, come non l’ho temuta mai. Solo mi dispiace morire ignominiosam.te e che la Nazione Napolitana si covrirà di disonore per sempre. Ma come io sono condannato senza esaminare les Pieces, che si sono mandati al Governo… Per Ferdinando non é di nessun vantaggio la mia Morte. Io ero munito di un Passaporto delle Potenze Alleate per trasferirmi a Trieste, e quindi alla mia Famiglia giacché ho dovuto [f. 132] fuggire da Marsiglia, e da Tolone, dove la mia vita non era più sicura. Conducevo meco questa gente per non lasciarla in Corsica, essendomi stata sempre fedele, e dopo la mia partenza ero sicuro che l’avrebbero massacrati. Li avrei procurato una situazione in Austria. Se il Governo mi vuole considerare come il Conte di Liban [sic] sotto di cui nome io viaggiava, munito del Passaporto degli Alleati, Io sono stato insultato, e non dovea esserlo per legge. Se mi vuoi considerare come il Re Gioacchino mi deve trattare come Prigioniero.

«Gli si disse che non avrebbe dovuto mai disbarcare, ne permettere che altri l’eseguissero.

«Rispose «Ah!… Sono stato mal consigliato. Povera mia Famiglia… Che di­spiacere, che dispiacere.

«Sciolse dalla catena del suo Orologio un sugello d’ove era vi impressa l’effiggie della Sua moglie, che tenne sempre stretto fino alla morte nelle sue Mani, ed alle volte guardandolo gli cadeva alcune lagrime.

«Leggendo Temistocle nel Metastasio disse.

«Sentite il Temistocle. Sentite Serse. Che bella pagine [sic] formerebbe Ferdi­nando nell’Istoria, che bella Pagine [sic] formerebbe Ferdinando nell’Istoria, che bella Pagine [sic].

«Se Ferdinando divenisse come me, nnuncierei a qualche cosa. 11 Mio nome e noto a tutta l’Europa, tanto, che nelle Azzioni in cui mi son ritrovato, i Russi avevano Ordine di non tirare sopra di me.

«Entrato il Relatore a dirgli essersi convocata una Commis.e Militare per giudicarlo. Rispose [f. 132 retro] «Questa é una Commissione incompetente per me.

«Entrato il Segretario per invitarlo a dare il Costituto, e ad intervenire alla Commissione, chiamandolo General Murat, rispose.

«Il General Murat non lo troverete. Il Re Gioacchino se volete, e come tale vi fo sapere, che non ho rinunciato mai alii miei dritti, e sono stato riconosciuto da tutte le Potenze. — Non volle formare il Costituto.

«Se volevo riacquistare il Regno, non sarei venuto con tanta poca gente, né in questo Paese che mi é stato sempre nemico. Quattro mesi fa ero padrone di questo Regno, e comandavo 80/M Uomini. Il Re Luigi tornò di Francia, dopo 25 anni, e Ferdinando dopo 10. Chi sa!…

«Gli fu offerto del Caffè con latte. Egli rispose. «È finito il mangiare per la mia vita.

«Dopo qualche ora domandò da Pranzare, ed essendoglisi portato non prese che due Cocchiaje di Brodo, dicendo

«Che serve di mangiare, io morrò certamente. Domando in grazia che il mio Corpo sia portato alla mia Famiglia, alla quale vado a scrivere, e son sicuro che il mio foglio gli giungerà

«Dopo averlo eseguito diede un gran sospiro, e disse

«Adesso son contento. (La lettera é stata rimessa)

«Giunta l’ora dell’annunzio della sentenza, proferitasi dalla Commis.ne a suo carico, entrò il Relatore a notificargliela, ed Egli rispose.

«Che! Io sono condannato a Morte?… Andiamo.

«Si presentò il Prete contemporaneame.te per prestar i suoi uffizi. Sapere se moriva da Cristiano, e pregandolo di porglielo per iscritto. Rispose.

«Io moro da Cristiano. Conosco Iddio, la Trinità, e tutti. Non ho fatto mai male a nessuno, e non ho nessuna difficoltà di porlo in scritto (lo eseguì)

«Dove mi devo situare?

«Gli si indicò il Posto. Ricusò di bendarsi e di sedersi.

«Si pose innanzi a’ Soldati destinati a fucilarlo, con un tuono autorevole, avendo nella man dritta il suggello citato che lo strinse al cuore, e quindi proferì così

«Soldati tiratemi,ma non mi mancate.?

«Fu eseguito, e rimase estinto».

(Manoscritto senza data né firma: Con grande probabilità é stato scritto dal Generale Nunziante ovvero, su sue direttive, da persona a lui molto vicina.

Sono indotto a pensarlo dal fatto che solo in questo documento é riportato il primo colloquio che Nunziante ebbe con Murat (f. 129 e 129 retro), nonché il questionario che venne posto a costui (f. 129 retro).

Il manoscritto contiene inoltre molti particolari che solo Nunziante poteva conoscere. E, per converso, non fornisce il nome dell’ufficiale che comunicò a Murat la notizia del processo a suo carico, avendone lo stesso generale incaricati i Quattro ufficiali destinati alla custodia di Murat, i quali soltanto tra di loro decisero chi avrebbe dovuto effettuare questa comunicazione, come é narrato nel Cenno storico del Bóttazzi (v. retro n” 5), il quale concorda in tutto con la versione fornita da questo manoscritto.

Naturalmente, solo la filologia, la linguistica e la diplomatica potranno conva­lidare la mia ipotesi).

  1. CARTE D’AYALA, XIV, B 2, pp. 66-77:

PANELLA GIUSEPPE Minor:

«ARRESTO DELL’EX RE GIOACCHINO MURAT, SEGUITO AGLI OT­TO OTTOBRE [… ecc] MILLE OTTOCENTO QUINDICI NEL CASTELLO DEL PIZZO [corsivi originali] »

«Nel giorno otto del mese di ottobre dell’anno milleottocentoquindici, Dome­nica […] essendo il mar tranquillo ed il ciel sereno, allo spuntar del sole, si videro dall’alto della città del Pizzo nel mare alla distanza di 15 miglia, circa, dal lido delle Barche, una grande detta con termine nautica Bove, e l’altra men grande che la seguiva con direzione della Marina del Pizzo. Infatti alle ore 15 d’Italia approdarono a terra […] colla velocità del fulmine sbalzarono quattordici uffiziali militari, e ventisei soldati quasi tutti armati di sciabla, cherubine, baionette e pistole, ad eccetto di uno che portava spada ben guarnita, pistole e cappello [f. 66 retro] con nocca di tre colori, sostenuta da circa \8 brillanti preziosi.

«Questi facendo da capo, senza prendere un momento di riposo con passo veloce e seguito da tutti gli altri s’incamminò per la Città, insinuando a chi gl’in-contrava a dire Viva Gioacchino Re di Napoli ed arrivato nella gran piazza […] si fermarono nel mezzo, e tutti con le cherubine poste in mano, e sempre seguendo il loro capo, questi facendo carezza a tutti li persuadeva a dire Viva Gioacchino Murat, Viva il Re Giocchino. Mi conoscete? (seguitava a dire) Io sono il v.ro Re il v.ro Padre Gioacchino.

A tale impinzata novità che un solo avesse risposto voltarono tutti rispettosi le spalle, e non ostante che il numero delle persone corrispondeva a circa duemila, si rinserrarono nelle loro case i paesani e riposte le some su le loro giumente i forestieri partirono […] Rimasero solo vicino la porta della Marina i Legionari che stavansi esercitando negli esercizi militari. A questi accorse Murat e postosi [f. 67] di fronte di essi: disse così; voi siete miei soldati, ubbiditemi. Andate sull’alto di quella torre, levate quella Bandiera che sta sventolando. Ed avendo consegnato ad uno di essi un’altra Bandiera, che raccolta portava sotto un Soldato della sua comitiva. Mettete questa con le armi del v.ro Re Gioacchino. E voi, disse ad un altro legionario, trovatemi pronto un cavallo e seguitemi tutti per Monteleone

«A tal comando, anche i legionari senza rispondere voltarono le spalle e rientrate in Città chiusero la porta, ed andarono a dar parte al Capitano della Gendarmeria D. Gregorio Trentacapilli, Comand.te nella Provincia di Cosenza, che

a caso trovavasi al Pizzo.

«A tale veduta accortosi l’esperto Generale Murat cosa avrebbe potuto seguire

per simile inaspettato ammutinamento, seguito dal Generale Franceschi dal capitano Pernice, e da tutte la compagnia dei suoi corsi s’incamminò a passo veloce per la strada che conduce a Monteleone colla scorta del giovine F. Alemanni del Pizzo da lui conosciuto per averlo servito nella guerra di Lipsia e Danzica, e tutti a piedi.

«A tale avviso uscì in piazza il Capitano Trentacapilli [67 retro] ed animò la popolazione per inseguirli alla meglio. Divise l’agente [sic] accorsa sconsigliatamente par la maggior parte senza armi in tre colonne, e diresse, una per lo stretto di S. Antonio, la seconda per quello di S. Pancrazio e la terza, di cui egli si fece alla testa per la strada dei Morti battuta testé dal Guerriero Murat.

«Fu tanta la velocità degli aggressori per la maggior parte inermi o armati di bastoni, e con pochi fucili, che la terza compagnia li raggiunse al passo tra la Chiesa della Pietà ed il Torrente detto della Parrera.

«Allora il Capitano Trentacapilli intimò la resa al General Murat, il quale avvedutosi che dall’alto pendeva l’altra Compagnia di paesani per non essere posto in mezzo con tutti i suoi lasciò la strada sbalzò nell’oliveto della Parrera, perché anche impedito dalla terza contemporaneamente giunta, di non poter più spuntare per Monteleone. Rispose Murat tenendo in mano una pistola imponendo col mi­naccio di ucciderlo all’anzidetto Capitano, che non si accostasse per dargli di mano, ed intanto tutti i corsi presero su le armi. In questo [68] breve intervallo cercò persuaderlo a farsi dalla parte sua promettendogli e danari ed onori. Ma terminò subito l’Armistizio perché urtando la parte superiore, e temendo di essere stretto nel mezzo Murat, si pose a fuggire per la direzione della Marina, ma non più per la Strada; ma per dentro gli ulivi suddetti del luogo della Penerà, avendo passato da quelle del Sig.r Satriano a quelle del Sig.r Ochea. E siccome il Capitano Trentacapilli ordinò ai suoi di far fuoco sopra le spalle dei fuggitivi corsi, così questi dispersi s’imboscarono nelle siepi esentieri [sic] che se li pararono di avanti.

«Il solo Generale Murat coll’altro Franceschi, il Capitano Pernice, e due altri Uffiziali continuando intrepidi la fuga, e poco curandone le spalle, cercavano sempre la direzione di Monteleone, la quale fu loro impedita dal Torrente Valisdea che se li parò di avanti e gl’impedì il disegno, per cui non potendone tornare più indietro, perché ingrossava sempreppiù il numero dei persecutori, voltò la direzione al mare sempre dirupandosi per balze e sentieri, con esser cascato più volte stramazzone per terra ed accompagnato da continuati tiri di fucili alle spalle.

«Arrivò finalmente al Fortino di detto Torrente Valisdea [68 retro] di suo ordine fabbricato, e seguito solo dai tre Uffiziali, ed abbandonato da tutti gli altri Corsi come sopra nascosti, e non avendo ivi ritrovate le sue due barche, poiché il Comand.te Barbara accortosi dell’accaduto perché tutto poteva osservare, come destintamente osservò dal posto dove erasi ancorato, temendo del cannone dei due Forti che li sovrastavano a giusto timore di calarlo a fondo, e forse perché tenne per perduto il suo ex Re, la di cui ricca Cassa Militare e baulio teneva a bordo, donò le vele al vento e fecesi in alto mare, pigliò di mano ad un Battello abbandonato dai pescatori in quel punto, fuggiti per timore da quanto avevano osservato, e così cercava salvarsi nel Mare il Generale Murat e compagni.

«Era questo picciolo in modo che il peso di quattro Uffiziali si rese tanto gravoso che Murat e due com-compagni [sic], con tutta la forza dei remi non potè strapparlo all’arena, e sollevarlo per dargli moto nel mare, per raggiungere col favore dello stesso al Capitano Barbara anzidetto, che veleggiava lungi dal Cannone dei Forti.

«In tale stato d’inattività a poter continuare la [69] fuga per mare fu obbligato l’infelice Generale Murat, ed Uffiziali sostenere una grandine di palle che dall’op­posto Fortino della Valisdea gli piombavano tirate senza veruna regola da inesperta ciurma di Gente di ogni ceto, e dalla quale si vide cadere a piedi già morto il Capitano Pernice Corso, ferito da una palla alla fronte tirata da un Marinaro, e ferito anche il Generale Franceschi.

«Allora fu, che voltata in un momento la Ruota, con evidente cognizione che Dominus ipse esse Deus Sabaot idest Exercitum, et in manu ejus omnes fines terre. Poiché per ipsum Reges regnant, e lo confessino pure in questo caso gli ottimati non credenti. Allora l’infelice ex Re Gioacchino Murat cognato dell’ex Imperatore dei Francesi, e Re d’Italia Napolione Buonaparte cognato dell’ex Re di Spagna e delle Indie Giuseppe Buonaparte, cognato dell’ex Re Luigi Bonaparte, cognato per parte della seconda moglie dell’Imperatore suddetto dei Francesi Maria Luigia d’Austria dell’Imperatore di Alemagna Cognato del Re Bavaro, dopo di aver sostenuto e superato tutta la Francia che rese vassalk al suddetto di lui Cognato, tutta la Spagna che consegnò la corona a Giuseppe: il Gran [69 retro] Ducato di Pergh, Cleves che ritenne per se dopo di aver comandato, e assoggettato le acque dolci e salse di Danzica con tutta le fortezze, come benanche assoggettò la Polonia, la Prussia, la Sassonia l’Alemagna e perfino l’Egitto, il Cairo, Alessandria non avendola rispar­miato alla Prussia fino a Mosca e finalmente lasciato tutto il forte della Grande armata Francese di un Milione di uomini, e con alla testa il grande Generale Buonaparte rotolare nel Fiume di Lipsia, ed ingrassare col sangue Francese la Sassonia; egli solo vittorioso di tanta Stragge, e poco curando tanto furore Militare si vide comandare tutta la Italia alla testa degli eserciti Austriaci, e di tutti gli alleati che li riconobbero per Re di Napoli, e loro alleato, e sostegno, per la di cui bravura restò disfatto il grande Impero dei Francesi collo stesso Imperatore Napoleone, già fatto prigioniero degli Inglesi, giacché dal gran Generale Gioacchino Murat di lui Cognato fu abbandonato per giuste cause. In questo infelice termine di tante glorie, perché così dispose il sommo Creatore Padrone, e dispositore del tutti, fu costretto Gioac­chino Murat chinar [70] quella fonte ai di costui piedi anche i Mammalucchi Principi si prostrarono, e postosi pancia per terra alTarrimbamento: fece la tumultuosa plebbe insana [?] della barchetta cercare per carità la vita ad un Pescatore (P.G.) a cui pose nel dito il Real prezioso Brillante che si cavò dal suo, ne esitò inginocchiarsi a’ piedi di un vile Mugnaio (F.C.F.), cercando per carità la vita che pure pagò coll’oro.

«Eppoiché mai fortuna per poco come al bene, cosi al male, come all’ingran­dimento, cosi alla depressione. Ecco Gioacchino Murat alle ore 18 d’Italia in mano ad un braco di furiosi aggressori, al numero più di duemila persone tutte dellaplebaglia, consideri chi legge quali dileggi non soffrì: fischi, ingiurie, sputi infaccia strappandogli i capelli ed il Mustacchio da (F.B.) colpi di fucili, bastoni e schiaffi, finanche da donnicciuole, e ridotto in modo che la pietà di gente pulita (F.A.)accorse a ricoprirlo con nuove vesti, perché lasciato lacero cencioso, ed in parte ignudo.

«Non furono perdonati 18 grossi brillanti di gran valore di spettanza del tesoro di Spagna che tenea al cappello, strappati da un ferrajo (F.S.B.) che poi restarono al Capitano Trentacapilli. In [70 retro] questa conformità menato nel Castello fu chiuso in un ristretto ed oscuro carcere, dove gli venne negata alla prima dimanda anche una bevuta d’acqua ed una sedia.

«Volò la fama di un tale memorando accaduto al Pizzo, che principiò circa le ore 16 e finì tra 6.8. del giorno 8 Ottobre 1815. e da Tropea venne al Pizzo alle due della notte il Generale Nunziante, Comandante la seconda [sic] divisione della Calabria ed incaricato in esso dell’alta Polizia che andò ad abitare nel Castello medesimo dove ritrovavasi ristretto prigioniero l’Infelice Murat che subito fece mettere in una stanza decente e trattato da prigioniero di Guerra, ma con quegli onori dovuti, merito e qualità del soggetto. Intanto furono raccolti tutti i Corsi sbandati, ed al numero di 29. cogli Uffiziali suddetti furono condotti nel Castello medesimo, e trattati da prigionieri di Guerra.

«Nel giorno nove si vide la Città guarnita di corrispondente truppa di fanteria e

Cavalleria, il Castello con quattro pezzi di cannoni, e soprabbondante munizione, e per ogni capo [71] strada della Città, e parte di essa duplicate sentinelle.

«Si affrettarono sul momento i Telegrafi a darne l’avviso alla Capitale; ne mancò il Generale Nunziante e l’Intendente della Provincia, a spedire per ogni giorno delle staffette alla Corte.

«Martedì seguente 10. Ottobre venne da Messina una flottiglia Inglese per fortificare la Marina che si trattenne sino al giorno 13, dopo eseguita la sentenza di Morte contro il Generale Murat.

«In questo stato di legale prigionia di guerra, e di nobile trattamento dall’u-manissimo Generale Nunziante godea lo disgraziato Murat una consolata e libera compagnia dei suoi Uffiziali Corsi, con decente servizio, e comodi anche per quanto le circostanze permettevano al vincitore alla Reale, non facendole mancare pur anche la conservazione fino a notte avanzata di ogni sera con l’intervento di Uffiziali di ogni grado, e gente pulita; tantovero che nella sera di giovedì 12 Ottobre domandò ridendo se si sapesse indovinare quale disposizione sarebbe per dare di lui i Reali Alleati, dopo di che andò a letto.

«Intanto alle ore sei della stessa notte giunse proveniente da Napoli reale staffetta al prelodato Sig.r Generale D. Vito Nunziante, seguita da altra che arrivò alle ore [71 retro] dodici della mattina di venerdì giorno seguente tredici dello stesso mese con reali Decreti firmati dal Sig.r: D: Luigi Medici Segretario di Stato e Ministro dell’alta Polizia, con le quali manifestava che alle ore nove del giorno venti [sic] Ottobre, per notizia Telegrafica si ebbe notizia in Napoli, trovarsi al Pizzo arrestato Gioacchino Murat, con circa 15 o venti altri compagni d’armi. Che alle ore 9 1/4 di ordine del Re si aduno il Consiglio di Stato per tale causa, che alle ore 9 1/2 fu decretato spedirsi prima e seconda staffetta dopo due ore; onda sul momento dell’arrivo al Pizzo, il Sig.r Generale Nunziante avesse nel Castello medesimo, unito un Consiglio di Guerra, o sia Commissione Militare per giudicare Gioacchino Murat, e che dalla pubblicazione alla esecuzione della Sentenza si frapponga solo un quarto di ora per gli atti di religione. E trovandosi nella di lui compagnia Soldati, o Uffiziali Napolitani o Siciliani dovessero essere giudicati nella stessa forma ed eseguita ugualmente la Sentenza, sotto la responsabilità di esso incaricato.

«[72] A chi si diedero ordini pressanti di affrettarsi a darne l’avviso della esecuzione sul momento stesso con Telegrafo, e col ritorno delle sue staffette con Barca, e di qualunque altra maniera possibile. Tanto contiene l’ordine Reale letto da chi scrive.

«Sul ricevere tal ordine il Sig.r Generale Nunziante ordinò la Commissione Militare composta dal Sig.r D. Giuseppe Fasulo, Cavaliere del Real Ordine delle due Sicilie fatto da Murat, Barone Sig.r D. Raffaele Scarfaro pure Cavaliere delle due Sicilie creato da Murat, Sig.r D. Letterio Napoli [sic] commendatore del Real ordine di S. Ferdinando, Sfg. D. Matteo Cannilli, Sig.’ D. Matteo de Uuougi [sic], Sig.r D. Frand.o: [sic] Paolo Mazza [sovrapposto su un cancellato e tuttora in parte ricono­scibile Mortillaro] Giudici Sig.r Francesco Frojo Relatore, e Sig.r D. Giovanni La Camera Regio Procuratore Criminale [sic] presso la Gran Corte Criminale di Cala­bria Ultra Seconda residente in Monteleone fatto da Murat, e Sig.r D. Francesco Paparossi Segretario, i quali riuniti tutti nel Castello del Pizzo dalle ore dodici della Mattina di Venerdì 13. Ottobre cominciarono il costituto, ed interrogatori al giudi­cando Giocchino Murat, e firmarono contro di lui il Decreto di morte alle ore ventidue [72 retro] ed un quarto di detto giorno che fu eseguito alle ore ventitre nel Castello medesimo con otto scariche di fucili al petto intrepido del generoso Guer­riero.

«La sentenza di morte fu intimata e letta a Gioacchino Murat nella stessa ora, ma non fu manifestato il momento della esecuzione, onde si pose a scrivere fretto­losamente alla moglie del tenor seguente.

Mia cara Carolina

L’ora fatale è stata eseguita con non poche lagrime. Io cesso di vivere in qualche supplizio: tu non avrai più sposo ed i miei figli non avranno più padre. Sovvenitevi di me. Non bandite la mia memoria. Io morrò innocente, la mia vita mi è stata tolta per un giudizio ingiusto. Addio mio Achille. Addio mia Letizia. Addio mio Luciano. Addio mia Luisa. Mostrate [7 3]vi sempre degni di me. Io vi lascio sopra una terra e Regno in mezzo di numerosi nemici. Siate sempre uniti. Mostratevi superiori alle atrocità: Siate ritenuti. Prestatevi più che voi siete stati. Iddio vi benedirà. Non maledite giammai la mia memoria, e sovvenitevi il gran dolore che io provo al mio momento, ch’é quello di morire lontano dei miei figli: lontano dalla mia amica, e di non avere alcuno amico che chiuder mi possa le palpebre. Addio mia Carolina. Addio miei figli. Ricevetevi la mia paterna benedizione, le mie tenere lacrime, i miei ultimi abbracci. Addio, Addio. Voi non dimenticherete mai il vostro disgraziato Padre Gioacchino.

«Al Pizzo li 13. Ottobre 1815.

«Il Sig.r Generale Nunziante uomo assai religioso [73 retro] e pietoso dell’avere unito la Commissione Militare ordinatale, non potendo ajutare e salvare la vita temporale di Gioacchino Murat, pensò alla di lui eterna salute spirituale, e perciò credendo non così lungo il giudizio invitò le ore 14 della mattina nel Castello il Sig.r Canonico Decano D. Tommaso Antonio Masdea luogotenente del Vescovo di Mileto Monsignor Minutolo, il quale dimorò fino alle ore 22 e mezza chiuso in una stanza di orazione, quando chiamato dal Capitano incaricato della esecuzione en­trato nella stanza di Murat lo ritrovò nell’atto che firmava l’antecedente lettera. Egli si alzò, e benignamente stiede ad ascoltare il sacerdote che gli domandò se l’avesse conosciuto, in occasione [74] di avergli domandato in grazia due anni dietro la costruzione della Chiesa Maggiore del Pizzo sotto il nome di S. Giorgio Martire, ed egli sovvenutosi gli rispose di si, e che gli avea dato mille ducati per l’effetto. Allora il Ministro di Gesù Cristo preso animo e fidato nella infinita misericordia di Dio e nel sangue preziosissimo del Redentore, gli parlò così. Altra grazia, Signore, sono venuto adesso a domandarvi di maggior valore gli disse, ed egli replicò: ma io in questo stato quale grazia posso farvi? Ah! Signore, ripigliò il sacerdote, dovete confessarvi. L’accorto Principe temendo di confessione giudiziaria, dispettosamente voltò le spalle, e con risentimento disse. No non ho che confessare, perché non ho mancato avanti a Dio. Non [74 retro] si smarrì il Ministro di Gesù Cristo, ma vieppiù incoraggiato di lui, che infirma Mundi elegit Deus ut forzia [sic] confundat, se­guendolo gli replicò — Signore io non vi parlo di Confessione giudiziaria, ma di confessione Sagramentale per riconciliarvi con Dio alla di cui presenza dovete comparire fra U termine di un breve quarto d’ora. Ah! replicò allora son pronto, come però faremo in sì breve tempo? Sono io per voi non temete. Andava per inginocchiarsi, ma il confessore gli donò una sedia che sola essa era in quella stanza, si sedè, cominciò, ma poi subito si rialzò in piedi per venerazione al Ministro di Dio! Oh! chi si possa trovare presente per vedere le lacrime, sentire la prontezza delle risposte, la contrizione [75] le promesse di mai più peccare [!!!], l’umiltà nel soddisfare la penitenza. E più bisogna interrompere per poco a rossore degli non credenti, e che tutti attribuiscono al caso. Se la Provvidenza avesse ristretto a Gioacchino Murat, che voleva salvo, come si spera nell’anima, la sua confessione ed agonia, ad un solo quarto d’ora, come quella del buon Ladrone fu la Croce, quali sfoghi non avrebbe fatto l’Inferno per ricordargli dove muore? quali affronti ricevè al Pizzo? quali vendette avrebbe potuto fare. Ed intanto niente di questo e bada solo al pentimento alla rassegnazione del Divin volere, da lui confessa ricevere la sentenza.

«E finalmente considerar devono i riflessivi, che dopo di averlo salvato dalla morte in tante Campagne in tanti mari e fiumi, raccolse [75 retro] le sue ceneri in quella Chiesa da lui beneficata, da quella gli vennero dati gli ultimi Sagramenti ed aiuti spirituali per salvargli l’anima.

«Terminata la sagramentale Confessione, e ricevuta pur anche l’assoluzione Papale in articolo di morte concessa da Benedetto Papa XIV, andiamo disse il buon penitente ad eseguire la volontà di Dio.

«Il Sacerdote, che forse conoscea dover fare il penitente a norma delle regole della Chiesa qualche altra dichiarazione scritta, e perché gli mancava il tempo, non più potendosi prolungare contro la Legge che lo respinse. Fermate gli disse fermate, Signore voi dovete scrivere solo un rigo su di questa carta, e dire: Io Gioacchino Murat [76] sono Cristiano Apostolico Romano, gli rispose son pronto e prese la penna e fatto. Io: si fermò e disse: ma voi Padre mi volete svergognare dopo morto = No replicò il Sacerdote anzi intendo smentire quei libertini, che del vò nome servivansi per mascherare la di loro irreligione. Tanto bastò, e continuò a scrivere «Si deve vivere e morire da buon Cristiano Gioacchino Murat. Andiamo replicò nuova­mente a fare la volontà di Dio.

«Arrivato al luogo della morte, voltato agli astanti. Non credete disse che io d’altri riceva la morte che dalle mani di Dio, solo mi dispiace il modo. Ditemi Sig.ri Uffiziali dove mi devo situare, ed avendosi posto in un rialto si slanciò la veste e aperto con le mani il petto «Tirate disse o miei soldati e non [76 retro] temete. Allora replicò l’Uffiziale voltate le spalle = A tale avviso torna indietro, e con un sorriso, con le mani ed occhi alzati al Cielo = Credete disse che io potessi far mal animo contro di questi infelici che devono fare ciò che non vorrebbero e contro di chic-chesia, siete in abbaglio perché tutto viene ordinato e disposto.

«Torna al suo posto si denuda il petto e di nuovo disse Tirate; grida il Sacerdote Credo in Dio Padre Onnipotente: Più non potè dire, e fu eseguita la Sentenza.

«Il suo cadavere ri posto in un baule vestito di Taffità nero fu sepolto nella Chiesa Madrice del Pizzo, dove nel giorno seguente dallo stesso padre assistente fu cantata [77] una solenne Messa di Requie.

«E così terminò la vita del gran Generale Gioacchino Murat.

«Fatto da Giuseppe Panella Minor li 18 Ottobre 1838».

(Questo interessantissimo documento — che, sebbene già consultato dalla VALENTE, io pubblico solo ora per la prima volta — ricalca in sostanza le linee del •nanoscritto del canonico Masdea (v. Parte I, passim) — di cui ricopia spesso le medesime parole (e persino, a proposito del Decreto del Consiglio di Stato, il ben noto «letto da chi scrive»), rivedendole talora ortograficamente, quasi con pretese letterarie. Ma vi introduce anche qualche variante di rilievo:

A foglio 68 del manoscritto, per esempio, menziona i proprietari (Satriano ed Ochea) degli uliveti attraversati da Murat nella fuga; spiega poi che l’episodio tutto « principiò circa le ore 16 e finì tra 6.8. del giorno 8 Ottobre» (f. 70 retro): divergenza questa dovuta probabilmente ad un errore di trascrizione, in luogo di «alle 18», ora che del resto era stata precisata appena una ventina di righe prima; chiama Matteo il Ten. De Vouge (tracrivendone erroneamente anche il cognome), che si chiamava invece Francesco, e cancella e sostituisce con quello di Mazza il cognome di Fr. Paolo Mortillaro; introduce qualche variante di poco conto alla lettera di Murat e Carolina; trasforma in mille i duemila ducati concessi da Murat per la riedificazione della Chiesa del Pizzo; tace dell’interruzione della confessione di Murat da parte del Capitano incaricato dell’esecuzione; ma contiene particolari assai più precisi circa la sedia offerta dal Masdea a Murat prima di iniziare la sua confessione (f. 74 retro), che nel Masdea (v. retro, p. 65) appaiono assai confusi.

È difficile identificare l’autore, che non é certamente il sedicente Panella, né, probabilmente, il Masdea: Sarà quindi compito dei filologi, linguisti e diplomatologi risolvere quest’altro problema, insieme all’altro, assai interessante della sua datazio­ne).

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 7:TRAVERSA, corrispondente telegrafico

« MARINA REALE        Posto centrale a di 9 8bre 1815

Telegrafi                           Rapporto telegrafico

N”…                                A Sua Maestà
Ore 23

«È sbarcato al Pizzo Murat con quindici uomini; é stato ieri Murat con venti uomini, e sbarcato al Pizzo, é stato arrestato con tutti, é in consegna del Generale «II corrispond.te telegrafico

Traversa «N.B. Il discorso sta continuando».

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, foglio 16:TRAVERSA, corrispondente Telegrafico

«MARINA REALE         Posto centrale a di 9 Ottobre 1815

Telegrafi                           Rapporto semaforico

N”…                                A Sua Maestà
Ore 23 3/4

«È sbarcato al Pizzo Murat con quindici uomini.

«È stato ieri Murat con venti uomini, e sbarcato al Pizzo é stato arrestato con tutti, é in consegna del Generale Comandante Napolitano, che attende ordini dal Re

«Il corrispond.te teleg.co

Traversa

«N.B. II discorso non é terminato per causa delle tenebri»

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, Foglio 54:

TRENTACAPILLI GREGORIO al Generale CANCELLIERI (8 Ottobre 1815)

Pizzo 8 Ottobre 1815

«II Capitano Trentacapilli Comandante la Gendarmeria di Calabria Citra al Sig.r Generale Cancelliere

«Sig.r Generale,

«Dietro il rapporto fattovi in data di sta mattina dell’arresto seguito di Gioac-chino Murat, e suoi seguaci, avendolo condotto in questo Castello, domandai conto delle Carte, che portavano addosso, che subito mi sono state consegnate tanto dal Murat, che dagli altri uffiziali, quali numerate, e ristrette in un plico, le diriggo con un processo verbale a Voi, onde ne facessivo l’uso convenevole, spedendo a tale oggetto un Maresciallo, e quattro uomini da cambiarsi in ogni posto, prevenendovi d’aver ritenuto presso di me una carta d’iscrizione sul libro delle rendite per portarla di Persona, come osserverete dallo stesso verbale attesocché dubitando esser sola, potersi disperdere, qual Carta di gran valore, che disperdendosi non si potea più avere. Gradite le mia attenzione e compiacetevi informarmi del sicuro ricapito in v.re mani, mentre con tutto rispetto mi scrivo

Gregorio Trentacapilli»

(Si tratta di una copia. Un’altra copia trovasi nello stesso Fascio, foglio 58. La data é quasi certamente falsa; v. pag. 42 segg. e note relative.

Gregorio Trentacapilli, Capitano di Gendarmeria di Calabria Citra, fu magna-pars negli avvenimenti del Pizzo dell’Ottobre 1815: Personaggio avido e privo di scrupoli, intrigò in modo addirittura plateale per impossessarsi dei brillanti e dei fondi posseduti da Murat presso la Maison Falconet, di Napoli.

Ne ho parlato ampiamente nei Capitoli II e III della Prima Parte del volume, nonché nel I” della seconda.

Il Generale Filippo Cancellieri, Maresciallo di Campo, era Ispettore Generale della Gendarmeria Reale).

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 500:

TRENTACAPILLI GREGORIO Dichiarazione al Gen. Nunziante (8/9 Ottobre 1815)

«D. Gregorio Trentacapilli Cap.no Di Gendarmeria Comandante le Armi della Prova di Cosenza

«Certifico come questa mattina circa le ore sedici ritrovandomi in Casa del Sig.r B.ne D. Cesare Ant.o Melecrinis tutto in un istante intimoriti si videro passare fuggendo molti paesani […] ed avendoli domandato per quale ragione andavanofuggendo, mi risposero […]

«Subito mi portai sul luogo ove il Murat con i suoi di seguito erano, e non l’ho ritrovato […]

«Stimai bene inseguirli, ove mi precede un mio fratello di nome Raffaele, un cognato di nome D. Giuseppe Console, altro mio nipote D. Giuseppe Gallelli, un ottimo amico di mia fiducia D,Giuseppe Perrone, e nostri Galantuomini […]

«Poco dopo li raggiunsi […] ed il Murat con altri due a me s’accostarono, facendomi dell’offerta di gran somma di danaro perché con loro me ne fossi andato: A tale proposta risposi che un ufficiale d’onore mai avrebbe fatto una similescelleratezza […]

«Ordinai a tutta quella gente […] di far fuoco sopra di loro, e così avendosi posto in fuga furono raggiunti, e tutti furono arrestati e condotti da me, e la summenzionata gente in queste carceri.

«[f. 500 retro] Di un sì fatto non mancai di spedire un galantuomo di nome D. Maurizio De Santis al Sig. G.le Nunziante. Non mancai benanche a richiedere le Carte che portava indosso il sunnominato G. Murat, che un gendarme di posto in posto l’ho spediti in Napoli a S.M., come altresì una ciappa di cappello di brillanti.

«Ed acciò costi ove convenga d’ordine del Sig. G.le Nunziante qui presente firmo il presente di mio proprio pugno.

«Pizzo la sera degli otto al 9 ottobre 1815

Gregorio Trentacapilli»

(Testo di ignota grafia; firma autografa.

Si tratta di una dichiarazione pretesa dal Generale Nunziante, in base all’inter­rogatorio cui sottopose il Trentacapilli, dopo la denuncia fattagli da Murat)

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 501:

TRENTACAPILLI GREGORIO, Rapporto circa l’arresto di Barba F.

Antonio

«Si fa parte al Sig. Generale come dalla gente di mio seguito fu condotto in questa carceri, come arrestato, il contoroli [sic] D. F. Antonio Barba, causa di averlo veduto salire dalla marina in questa Piazza, a braccio, del General Morat, nel sbarco fece in questa marina col suo seguito, come li sud.’ mi anno a me riferitio ed averlo bensì veduto parlare con il sud.o Generale in segreto

«Pizzoli9 8bre 1815

Gregorio Trentacapilli Co di Gend.a»

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 623, Fogli, 150-151:

TRENTACAPILLI GREGORIO al GENERALE CANCELLIERI (11 Otto­bre 1815)

«Gregorio Trentacapilli Cap.no Comand.te la Gendarmeria di Calab.” Citra al Sig. G.le Filippo Cancelliere

« Signore

«Se in data del di 9 cor.te mese alla rinfusa vi diedi parte dell’arresto del Sig.r Murat colla gente di suo seguito che sbarcato in q.sta Marina, proclamandosi Re tentò suscitar la rivolta […]

«Adempio adesso che mi trovo in qualche calma, sottomettendo alle V.re alte vedute q.to siegue.

«Avendo il Destino trascinato il Sig.r Murat [… ecc.].

«Per avventura s’incontrò col controllore de’ Dazi Indiretti Sig.r Ant.o Barba che teneva il cappello trenato d’argento gli disse: Comand.te la legione mi conosci?Io sono il Tuo Re sieguimi, ed in sua compagnia s’incamminò fino in mezzo la Piazza di q.ta Città, ove avendo incontrati molti individui della legione, e cannonieri che stavano sotto la rivista, tentò di indurii al suo partito, ordinando che si fosse abbassata la Bandiera Borbonica, ed inalberata la sua [… omissis]

«[150 rètro] Tentò d’imbarcarsi su di un picciol battello che stava alla sponda, ma la mia vigilanza animata da un corso rapidissimo presso di loro, la gente che incessantte faceva fuoco, e la forza Celeste, che proteggeva le nostre operazioni coronarono l’impresa, restando vittima il solo Cap.no Pernice, aiutante di Murat e pochi altri feriti, e raccolti li condussi in q.sto Castello.

«[t. 151] In tale catastrofe mi riuscì sorprendere quelle carte ed oggetti che la furia del Popolo mi permise, e subito con [una parola illegibile] a cavallo ne diedi parte ai Superiori in Monteleone, ed al Sig.r G.le Nunziante in Tropea, a mi misi subito chiesi forza, e con detto mio Germano, congionti a persone di mia fiducia assunsi la custodia dei Prigionieri.

«Doppo le ore quattro giunse il Sig. Stradi Cap.no del Terzo Estero che si trovava in Monteleone con cinquanta uomini, e si unì con me nel Castello, e verso le ore due della notte dell’istesso giorno il Sig.r G.le Nunziante, il quale avendomi chiesto conto del mio operato, e delle Carte che si trovarono:»

[il seguito della lettera é già stato da me riprodotto a pag. 49-50 del testo. Essa poi così prosegue]:

«… lo stemma glorioso del nostro Corpo sotto gli auspici di un ottimo Principe che Impera, mentre con ogni rispetto e venerazione mi protesto [… ecc]

[Segue il proscritto già riprodotto a pag. 50, dalle parole «Devo soggiungervi» fino a «a chi per giustizia si deve». Seguono queste altre parole:]

«… non ostante che i fatti sono pubblici, e nella chiara conoscenza di tutti».

[La lettera conchiude quindi con le altre parole riportate a pag. 50].

(Originale non autografo: é autografa soltanto la firma. Altra copia sta pure in ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, fogli 447 sgg.)

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 315, Foglio 56:ZAR ALESSANDRO a Re Ferdinando(26 Ottobre 1815)

«Monsieur mon frère; c’est au moment de rentrer dans mes Etàts, que j’ai recu Ics details, que Votre Majesté m’a fait communiquer sur la criminelle et extravagante entreprise de Murat. Je ne saurais résespédier ce courier sans lui esprimer moi mème la vive satisfaction avec laquelle j’ai appris l’heureux dévouement, que cet événe-ment a eù, et surtout sans applaudir à la sage fermeté qui a caracterisé la marche que Votre Majesté a suivie dans une circostance aussi delicate; la résolution qui Elle a prise de faire immediatament juger Murat, ne pourra qu’étre généralment approuvé et contribuer essentiallement à la tranquillité de ses Etàts».

(Segue il commiato di circostanza.

La lettera, originale, é autografa solo nella firma).

  1. ARCHIVIO BORBONE, Fascio 656, Foglio 595:

ZIMATORE CARLO ANTONIO:

ATTO PARROCCHIALE DELLA MORTE DI GIOACCHINO MU­RAT (13 Ottobre 1815)

«Carolus Antonius Zimatore Archiprespiter»

(Si tratta della copia originale dell’atto, contro firmata da «Froio Relatore». È autenticata anche da un sigillo formato da un’ostia rettangolare, che porta impresso

10         stemma di S. Giorgio che trafigge il drago).

L’originale è scomparso dagli atti parrocchiali di morte, «rubato con lo scucirne

11 foglio. Non sappiamo a che fine», e sostituito con una copia comprendente 6
pagine invece delle 4 originali (DITO, n° 47, p. 10).

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